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COVID-19, uno storytelling di qualità per aiutare gli attori dell’healthcare

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Nei mesi appena passati, l’informazione sulla pandemia è stata la protagonista indiscussa su tutti i media, mettendo alla prova la nostra capacità di verificare la veridicità delle fonti e dei contenuti. Quale impatto ha avuto questo surplus mediatico per chi, come un paziente, si trova a fare i conti tutti i giorni con il tema della propria salute? Capire come cambia la propria convivenza con la malattia nella pratica quotidiana, come cambiano le possibilità di essere assistiti, quali protocolli di sicurezza vengono garantiti per chi fa parte di un programma di supporto è stato un tema di primaria importanza nella comunicazione operata dai provider del mondo healthcare.

In che modo si può realizzare una comunicazione che va oltre l’informazione? Raccontando delle storie che permettano la condivisione delle esperienze.

Le storie possono puntare la lente sui diversi attori, possono servire per dare un esempio di come una situazione così peculiare come quella appena passata abbia avuto risvolti positivi e negativi, proprio come ogni altro avvenimento. E per i provider di programmi di supporto, quali sono le storie che possono permettere la condivisione? Sono quelle di chi ogni giorno rimane accanto ai pazienti e continua la sua attività di infermiere, medico, psicologo, nutrizionista o fisioterapista. Queste storie racchiudono anche le paure di chi, tutti i giorni, è costretto a modificare il proprio ruolo attivo alla luce dei nuovi rischi che correrà nel proprio percorso terapeutico.

Spiegare le difficoltà e mostrare le preoccupazioni di pazienti e operatori della salute, fare emergere attraverso queste storie condotte virtuose, risaltare l’impegno per garantire la sicurezza di tutti coloro che sono coinvolti in una relazione, è un impegno, ma anche un’opportunità per il mondo healthcare.

Coronavirus, uno storytelling italiano

 Dopo la Cina, l’Italia è stato uno dei primi Paesi a dover prendere delle misure restrittive per arginare la diffusione del COVID-19 sul territorio nazionale. La salute è il tema più importante che riguarda le vite di tutti, e allora dove documentarsi? Che cosa cercare?

Da qui la scelta operata da molti professionisti della salute di sfruttare i canali social per veicolare le proprie narrazioni individuali e per cercare di rispondere agli interrogativi delle persone prima che queste rischiassero di trovare in rete soluzioni false o fuorvianti.

Accanto alle necessità informative di pazienti e caregivers, di fondamentale importanza è stata anche la narrazione funzionale a condividere esperienze tra gli operatori del mondo healthcare. Quando improvvisamente le prassi di supporto si sono dovute adattare alle normative contro la diffusione del COVID-19 e ai contatti diretti con i pazienti si sono sostituiti meccanismi di distanziamento sociale, tutto si è fatto più confuso e ha richiesto un adattamento che è stato spiegato non solo tramite circolari, ma anche con il racconto.

Gli operatori di HNP si raccontano

Cosa significa essere un infermiere che si occupa di terapia domiciliare ai tempi del Coronavirus? In che modo si può continuare il proprio lavoro di psicologo o psicoterapeuta a distanza?

Come si possono adattare sedute fisioterapiche e nutrizionali nel rispetto dei nuovi standard di sicurezza? Come si gestisce il contatto con i propri pazienti quando viene richiesto di mantenere una distanza di sicurezza? Quando un operatore sanitario può, per il suo ruolo, diventare una figura di cui avere paura perché supporta tanti pazienti e quindi può diventare veicolo del virus?

Lo si può fare con una corretta informazione ai pazienti, una corretta formazione agli stessi operatori, ma anche chiedendo a questi ultimi di raccontare cosa stanno vivendo, per capire come agire e migliorare il supporto.

HNP ha sviluppato un progetto di storytelling per raccontare, in primis a tutti i suoi operatori e di conseguenza anche a tutti i suoi interlocutori, cosa ha significato continuare a prendersi cura dei pazienti proprio attraverso il racconto di chi non ha mai smesso di occuparsi di Patient Support Programs.

Grazie ai racconti di Valentina, Anisoara, Sarah, Gaia, Alessio, Orazio, Roberta, Davide, Alessandro, Fausto, Francesca, Alfonsina e Giulia – che sono solo alcuni degli infermieri, fisioterapisti e psicologi che compongono la rete HNP – Healthcare Network Partners ha costruito un quadro più che mai realistico e concreto di quello che è stato fatto per garantire la continuità di supporto e trattamento nella sicurezza di pazienti e operatori.

 

 

 

 

 

Webseries, raccontare la sanità a puntate

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“Quello di cui mia figlia Francesca avrebbe bisogno è rivedersi nelle storie degli altri, per capire che non è sola e che qualcuno come lei ci prova ogni giorno” dice Gabriella, la mamma di una paziente affetta dalla malattia di Fabry. Riconoscersi guardando qualcuno come lei attraverso uno smartphone o qualsiasi dispositivo connesso. Fruire di codici narrativi che non ci abbandonano dall’infanzia: serve una storia e un personaggio con cui immedesimarsi, sono questi gli ingredienti per una webserie. Il successo della serialità, applicato alla capillarità del web, permette di produrre contenuti di successo per tutte le fasce di utenti, anche per quelli che più di altri hanno bisogno di immedesimarsi: i pazienti e i loro caregiver. Il vantaggio delle webseries in ambito sanitario? Senza ombra di dubbio la potenza delle loro storie.

 Webseries, la forza dell’immedesimazione

Puntata dopo puntata creiamo un patto con i personaggi della storia: ci arrabbiamo, tifiamo per loro, ci affezioniamo ma soprattutto finiamo per sentirci un po’ loro. L’immedesimazione è un fattore fondamentale. Nel mondo della salute questo effetto risulta amplificato dalla possibilità di coinvolgere nella serie i diretti destinatari: pazienti reali, come tutte le figure che gravitano loro attorno. Lo sanno bene gli operatori dell’Asl di Napoli 2 nord che hanno creato una webserie di 25 puntate per promuovere gli screening oncologici, ma soprattutto per ridurre la distanza tra medici e pazienti. I Capitani ha come protagonisti 25 medici, uno per puntata, che racconteranno che cosa significa lavorare in un ambiente particolare come quello ospedaliero, quali sono le sfide giornaliere e quanto queste impattano nella loro quotidianità di persone prima che di medici. Azzerare le distanze, umanizzare le figure che molto spesso vengono percepite come totalmente lontane dagli assistiti.

La possibilità di utilizzare la serialità permette infatti di prendere parte all’evoluzione dei personaggi, facilitandone l’immedesimazione.

Come spiega Luca Mastrantonio, saggista e docente di comunicazione e storytelling multimediale all’Università IULM di Milano nel suo saggio Emulazioni pericolose – L’influenza della finzione sulla vita reale, alla forza centrifuga degli intrecci a episodi si contrappone la forza centripeta dei personaggi che hanno una forte carica emotiva e sono in evoluzione, come nei romanzi di formazione. Questo crea un legame così stretto con lo spettatore, che spesso quest’ultimo si ispira alle storie che ha visto nelle series per le proprie scelte di vita. Punto critico nell’ambito della salute, che per questo richiede uno sforzo in più nella direzione artistica: lavorare su una storia reale e smussarne gli angoli ai fini di renderla più scorrevole. La finzione diventa solo un filtro per fruire della realtà.

Il viaggio dell’eroe, dalla diagnosi alla quotidianità

Ogni webserie mette in scena una storia ed ogni storia segue quello che nella comunicazione si chiama il viaggio dell’eroe: il protagonista è chiamato ad uscire dal proprio mondo ordinario per qualche accadimento e inizia ad affrontare delle prove da cui ne esce cambiato. Il viaggio del paziente lo riprende fedelmente: da una situazione iniziale di normalità si finisce tra i corridoi di un ospedale e da lì iniziano le prove da superare, le ricadute che minano il percorso e i mentori, come i caregiver e gli Specialisti, che lo accompagnano in questo susseguirsi di climax e stasi. Come tutte le storie, anche questa ha bisogno di un finale: il cambiamento del paziente ed una nuova consapevolezza.

Come si traduce questo in una webserie sanitaria? In un certo numero di puntate, ognuna focalizzata su certi aspetti, sulle riflessioni e sulle esperienze che informano, responsabilizzano ed educano lo spettatore. È questo l’esempio di #lenostrestorie: la campagna di sensibilizzazione sulle neuropatie disimmuni di CIDP Onlus- otto puntate, otto storie, otto viaggi da raccontare. Elisabetta e la sua piccola Emma sono le protagoniste del primo episodio. “Dopo l’irrompere improvviso di una malattia grave e sconosciuta, proprio durante le festività natalizie, Emma e la madre ritrovano una speranza di cura e la fiducia nel domani”. All’apparenza l’incipit di un perfetto romanzo, è in realtà il racconto di un momento che ha caratterizzato l’esistenza delle due protagoniste, portandole ad affrontare la vita come due vere eroine in un viaggio.

Il successo delle webseries viene guardato con favore anche dall’Industria: può diventare uno strumento utile per fare educazione sulla patologia o su aspetti ad essa correlati. Se per esempio una patologia richiedesse una forte attenzione ad aspetti legati al controllo della dieta, perché non creare una webserie in cui due protagonisti cucinano piatti semplici e raccontano quanto possa essere difficile ma al contempo utile rispettare certe regole alimentari? È il caso di una webserie spagnola pensata per pazienti con malattia renale cronica.

La chiave dello storytelling: la diffusione della rete

Come suggerisce il termine, il canale per la fruizione di queste stories è il web. Le istanze formali della serialità televisiva si convertono a metodi di fruizione tipici della rete: la webserie diventa più diffusa e democratica. Questo tipo di prodotto può diventare uno strumento dell’Associazione pazienti da utilizzare sui propri canali, può essere condivisa sui social e soprattutto è accessibile sempre e in qualsiasi luogo poiché richiede solo una connessione.

#huntingtonstories, per esempio, è una webserie realizzata grazie alla collaborazione di familiari, malati e volontari di Huntington Onlus. Ogni puntata ha un protagonista diverso che racconta la patologia e la vita dopo la diagnosi. La pubblicazione su YouTube ha permesso all’Associazione di ricondividere gli episodi sulla propria pagina Facebook e sul sito, punti di riferimento fondamentali per familiari, caregivers e pazienti alla ricerca di testimonianze.

Il nodo della privacy

Raccontare la propria storia, la patologia e le difficoltà di ogni giorno richiede molto coraggio e tante tutele, soprattutto se il mezzo con cui si sceglie di diffonderle è la rete. In molti casi, infatti, lo storytelling in ambito sanitario si realizza mantenendo l’anonimato dei protagonisti, scegliendo nomi di finzione o omettendo il cognome dei protagonisti della storia. Si può decidere di ricorrere all’uso di attori che, proprio come in altri contesti, studiano i loro personaggi utilizzando un copione che è frutto di attività di user experience sulla comunità di pazienti di interesse.

Esistono molti modi per creare un prodotto di storytelling che racconta di tematiche delicate, intime e personali rispettando la privacy di chi decide di aprirsi e raccontare una parte così importante della propria vita.  In questo modo il prodotto diventa un messaggio capace di veicolare informazioni e valori.