Tag Archivio per: PSP

Intervista al Professor Dionisi Vici sull’importanza del supporto nelle malattie metaboliche

Tempo di lettura: 3 minuti

Intorno alle malattie metaboliche ereditarie si sviluppano competenze trasversali che uniscono i professionisti sanitari coinvolgendo provider di servizi, associazioni di pazienti e pharma.

Tutti questi stakeholders saranno protagonisti del XII Congresso Nazionale SIMMESN (Società Italiana per lo studio delle Malattie Metaboliche Ereditarie e lo Screening Neonatale) che si terrà a Bari il 9-10-11 novembre 2022. Ne abbiamo parlato con il Professor Carlo Dionisi-Vici, Responsabile U.O.C. di Malattie Metaboliche, Dipartimento di Pediatrica Specialistica, Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma.

Cosa rappresenta SIMMESN?

Ogni anno, in occasione del Congresso, noi operatori medici abbiamo la consuetudine di scambiarci informazioni e novità sulla cura e la diagnosi delle malattie metaboliche. Ciò che sta sempre di più emergendo è l’opportunità di considerare nuovi modelli organizzativi che possano per esempio riguardare l’impiego di provider healthcare che supportino le attività diagnostiche e di screening inerenti i pazienti affetti da malattie metaboliche organizzando percorsi che possano mettere in comunicazione Centri periferici e Centri di riferimento per ottimizzare la qualità dei servizi.

Ascoltare i bisogni dei pazienti è fondamentale per ridurre il loro burden of disease, ancora di più quando si tratta di malattie rare. Cosa significa, nella sua esperienza, prendere in carico persone con patologie metaboliche e bisogni assistenziali complessi?

Per un medico, avere di fronte un paziente con una malattia metabolica e bisogni assistenziali complessi non è solo un atto di responsabilità professionale: l’intero percorso di un malato con una malattia rara metabolica è molto complesso e difficile per cui è prioritaria la necessità di condividere l’impatto emotivo e, soprattutto quando si tratta di bambini, con la famiglia con cui si viene a stabilire quella che viene definita l’alleanza terapeutica nel momento della comunicazione della diagnosi. Fatta questa premessa, un Centro di malattie metaboliche ha assolutamente bisogno, per prendere in carico bisogni assistenziali complessi, di un team multidisciplinare che non si limiti a offrire un percorso strettamente sanitario e che valorizzi la comunicazione come momento di condivisione tra medico e paziente.

Quanto è importante, nell’ambito di una patologia metabolica, offrire al paziente un programma di supporto che garantisca il monitoraggio costante, magari eseguito a domicilio?

A mio avviso c’è ancora molta strada da fare, ma in questi anni è stato tracciato un solco attraverso l’offerta della domiciliazione delle terapie che consentono ai pazienti di non rivolgersi più alla struttura ospedaliera per eseguire, per esempio, cicli di trattamento che prevedono la somministrazione endovenosa di farmaci per ore, con tutto il disagio e il dispendio di tempo che comporta. Inoltre, laddove c’è la possibilità di eseguire le terapie o il monitoraggio a domicilio, avvalendosi di piattaforme di telemedicina, si evita al paziente lo spostamento verso la struttura ospedaliera.

Ritiene che stabilire una partnership con un provider di servizi in ambito healthcare possa agevolare i Centri Clinici nella gestione, più semplice ed efficace, delle attività di screening, referral e follow up dei pazienti?

Certamente: gestire un service diagnostico o di screening attraverso un provider di servizi consente di ottimizzare, semplificare e velocizzare il processo organizzativo. Il provider può infatti farsi carico sia dell’aspetto logistico, legato all’esecuzione di esami di laboratorio complessi che prevedono il prelievo, l’invio o la conservazione del campione prelevato, sia dell’aspetto comunicativo e di intermediazione svolto con i Centri periferici e con il territorio.

Quanto conta il supporto fornito ai Centri Clinici per gestire in maniera ottimale lo screening di una patologia metabolica per arrivare nel minor tempo possibile alla diagnosi e al tempestivo inizio della terapia?

Oggi, sempre di più si parla di screening nel campo delle malattie metaboliche, occorre però differenziare lo screening neonatale di popolazione, che consente di diagnosticare e curare la malattia sin dalle prime settimane di vita, dallo screening orientato, cioè quello basato su uno o più sintomi, che indirizzano verso la diagnosi. Entrambe le modalità di screening riducono i tempi dell’odissea diagnostica e consentono di avere una diagnosi precoce, di avviare tempestivamente le cure migliorando la prognosi. Il paradigma, dunque, che si può applicare a tutta la medicina è quello che include diagnosi precoce, inizio rapido della terapia, prognosi migliore. Non dimentichiamo poi che la diagnosi precoce, anche in una malattia non curabile rappresenta un valore aggiunto perché permette di accedere a un counseling genetico volto a far comprendere le conseguenze di una diagnosi di malattia genetica

Intervista al Professor Dionisi Vici sull’importanza dello screening nelle malattie rare

Patient Access

Tempo di lettura: 2 minuti

Nell’ambito delle malattie rare come l’alfa mannosidosi ci sono delle novità: lo sviluppo di un test che può essere effettuato sulle urine del paziente potenziale, altamente efficace per lo screening della malattia.

Abbiamo chiesto qualcosa di più al Professor Carlo Dionisi-Vici, Responsabile U.O.C. di Patologia Metabolica, Dipartimento di Medicina Pediatrica, Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma, con cui abbiamo dato vita, anche grazie al supporto di Chiesi Global Rare Diseases, al servizio alpha lab per lo screening delle oligosaccaridosi.

L’importanza di una diagnosi tempestiva è fondamentale nella gestione di qualunque patologia, ancor di più quando parliamo di Malattie Rare. Ci può descrivere la nuova metodica sviluppata dal Laboratorio dell’Ospedale Pediatrico Bambin Gesù per lo screening dell’Alfa Mannosidosi e i suoi benefici? 

Si tratta di un metodo tecnologicamente molto avanzato, basato sulla cromatografia liquida ad alta risoluzione e spettrometria di massa tandem (UHPLC-MS/MS), che permette l’analisi multipla dei biomarcatori di numerose malattie metaboliche. In soli 30 minuti è possibile effettuare lo screening delle oligosaccaridosi (sialidosi, α-/β-mannosidosi, fucosidosi, aspartilglucosaminuria). L’esame è effettuabile sia su urine fresche, conservate a bassa temperatura, sia su urine spottate su uno speciale cartoncino (DUS), rendendo in questo modo più agevole l’invio dei campioni al Laboratorio. Lo screening viene effettuato ricercando sulle urine la presenza di alcune categorie di zuccheri, i cosiddetti oligosaccaridi, che vanno a costituire il profilo specifico e caratteristico, che di fatto corrisponde all’impronta digitale, di una determinata malattia. Attraverso l’utilizzo di standard interni di riferimento si ottiene un’analisi semiquantitativa nella quale le concentrazioni dei vari oligosaccaridi sono espresse con l’unità di misura dei MoM (multipli delle mediane). Grazie a questo metodo rapido e che non richiede complesse procedure per la preparazione dei campioni di urine, è possibile in maniera tempestiva indirizzare il clinico verso la diagnosi di una serie di rare malattie metaboliche, alcune delle quali oggi curabili, come per esempio l’alfa mannosidosi, nelle quali il ritardo diagnostico può certamente contribuire a peggiorarne la prognosi.

Ritiene che supportare i Centri Clinici con un sistema che consenta di gestire in modo semplice ed efficace la disponibilità dei materiali per effettuare questo esame possa contribuire una più rapida diagnosi di questa patologia?

Agevolare lo screening per questa malattia è di fondamentale importanza per arrivare nel minor tempo possibile alla diagnosi e al tempestivo inizio della terapia. Dal punto di vista clinico, i sintomi di questa malattia sono molteplici, variano con l’età dei pazienti e sono comuni ad altre malattie lisosomiali, come ad esempio le mucopolisaccaridosi, per cui è molto utile la possibilità di disporre di un rapido test di laboratorio che faciliti la diagnosi differenziale.

 

Intervista a Clelia Bincoletto, Information Security Manager di HNP

Tempo di lettura: 3 minuti

Nel settore healthcare la cyber security riveste un ruolo di primo piano. La sicurezza delle informazioni è un aspetto a cui tutti i provider devono prestare attenzione. Clelia Bincoletto, la nostra Information Security Manager ci spiega meglio alcuni aspetti legati a questo tema. 

Che cosa si intende per information security risk assessment?

L’information security risk assessment è un processo che consente a un’organizzazione di identificare vulnerabilità e minacce che insistono sul proprio patrimonio informativo e decidere quali contromisure adottare per affrontarle efficacemente. Questa valutazione è una delle attività fondamentali per la creazione e il mantenimento di un sistema di gestione della sicurezza delle informazioni (ISMS).

Un processo di gestione del rischio dovrebbe essere ripetibile, misurabile e verificabile. In tal senso, sono stati sviluppati diversi standard di risk assessment, tra cui quello oggetto della linea guida ISO/IEC 27005.

Una valutazione del rischio sulla sicurezza delle informazioni si compone di norma di tre macro-fasi:

  1. Identificazione e valutazione delle risorse, per inventariare le informazioni di proprietà o nella disponibilità aziendale (anche presso terze parti) e associarne un valore in termini finanziari, reputazionali e strategici;
  2. Identificazione e valutazione dei rischi, per individuare le minacce che potrebbero sfruttare le vulnerabilità legate alle risorse e attibuirne un valore di impatto, che dipende dalla criticità delle risorse in esame e dall’efficacia dei controlli già implementati dall’organizzazione all’atto della valutazione;
  3. Gestione dei rischi, per determinare quali iniziative intraprendere nell’ottica di gestire in modo appropriato i rischi considerati non accettabili dall’organizzazione.

 

Perché un’azienda nel settore healthcare deve riporre particolare attenzione agli aspetti legati alla Information security?

L’healthcare è un settore particolarmente vulnerabile perché tratta informazioni ad alto valore strategico ed economico, come i dati di natura sanitaria dei pazienti e di proprietà intellettuale relativi alla ricerca sanitaria e all’innovazione in campo medico.

Secondo l’agenzia Experian, infatti, a seconda della completezza del dato, un singolo record sanitario può essere quotato anche mille dollari sul mercato del dark web. Tali informazioni sensibili possono essere infatti sufficienti per ottenere prescrizioni o trattamenti medici tramite un furto di identità, o consentire lo sfruttamento del know-how o di altre informazioni confidenziali da parte di aziende concorrenti.


In che cosa consiste un audit di cybersecurity?

Un audit di cybersecurity è una valutazione sistematica e misurabile della conformità di un’organizzazione rispetto ad una normativa di riferimento in ambito di sicurezza informatica e delle informazioni, come ad esempio la ISO/IEC 27001.

In altre parole, si verifica che l’organizzazione abbia adottato e gestisca in modo continuo adeguati controlli (ovvero, contromisure) per contrastare i rischi legati alla cybersecurity, così come indicati nelle best-practice dei framework del settore (NIST, ISO, CIS, PCI DSS).

Questa tipologia di verifiche ispettive è compresa nel percorso di certificazione (e mantenimento della stessa) di un ente rispetto a uno standard di cybersecurity: ad esempio, lo standard ISO 27001 prevede che queste verifiche vengano effettuate periodicamente per controllare che l’ente abbia definito un impianto documentale che contenga procedure e prescrizioni per assicurare la sicurezza delle informazioni e che, soprattutto, queste regole siano seguite e monitorate.

L’audit, soprattutto se eseguito da un soggetto esterno con una visione oggettiva sulla realtà aziendale, permette di evidenziare aree di miglioramento anche sconosciute all’organizzazione.

Che cosa sta facendo HNP in tal senso?

HNP è un’azienda attenta e proattiva rispetto ai temi di sicurezza informatica e delle informazioni. Dal 2020 i suoi processi di ideazione, progettazione ed erogazione di servizi di supporto ai pazienti e ai centri clinici sono certificati  ISO/IEC 27001.

Dal 2019, in aggiunta alle verifiche ispettive di monitoraggio della certificazione, si sottopone annualmente a un audit di cybersecurity indipendente denominato Cybervadis, che verifica l’applicazione dei controlli contenuti in tutti i principali standard di conformità internazionali, tra cui NIST, ISO 27001, GDPR e molte altre leggi internazionali sulla privacy e sulla sicurezza informatica.

A gennaio 2022 ha ottenuto un punteggio di 966 su 1000, con eccellenze sui controlli relativi alla gestione della data privacy, data protection e business continuity.

Intervista a Sonia Selletti, Avvocata presso lo Studio Legale Astolfi

Tempo di lettura: 5 minuti

Patient Support Program e quadro normativo italiano: quali norme li regolano? Quali sono gli aspetti da tenere in considerazione e come tutelare i dati personali dei pazienti? Ce ne parla Sonia Selletti, Avvocata presso lo Studio Legale Astolfi.

A livello normativo, come vengono inquadrati i PSP in Italia?

Nonostante la rapida diffusione in tutto il territorio nazionale, anche a seguito dell’emergenza sanitaria legata alla pandemia, i Patient Support Program (PSP) non trovano una definizione e un inquadramento giuridico puntuale nelle norme di legge vigenti.

Rappresenta, quindi, un prezioso approdo l’inquadramento dei PSP contenuto nel Codice Etico di Farmindustria, che seppur vincolante per le sole aziende farmaceutiche associate, costituisce comunque un importante strumento interpretativo (come riferimento di best practice) per le fattispecie non espressamente disciplinate dalla legge.

In particolare, l’art. 4.7 del Codice citato precisa che il PSP è un programma di assistenza sanitaria realizzato a beneficio del paziente in trattamento con un farmaco già autorizzato all’immissione in commercio da parte dell’azienda farmaceutica.

Da tale definizione derivano due importanti “scelte di campo” che indirizzano, da un lato, a programmi che prevedono l’impiego di medicinali già muniti di AIC per favorire la vocazione assistenziale a beneficio del paziente evitando che possano trovare spazio iniziative con finalità di c.d. pre-marketing (intese cioè a preparare il futuro accesso al mercato dei medicinali) e, dall’altro lato, a programmi applicabili a pazienti già in trattamento con il medicinale ad evitare che vi possano essere forme di promozione del farmaco al paziente o al più scivoloso terreno dell’induzione alla prescrizione da parte del sanitario.

Tali scelte, seppure attestate su un livello di rigore rappresentano evidentemente una forma di chiarezza per l’impresa per orientare le proprie decisioni con un adeguato livello di certezza.

La norma in esame entra anche in un maggiore dettaglio della operatività di un PSP prevedendo che debba essere garantita la gestione della farmacovigilanza, della privacy e degli aspetti giuslavoristici (al riguardo, è chiarito che non è possibile la somministrazione di manodopera), nonché la responsabilità per la compliance e per la gestione dei materiali. Tali profili dovranno, pertanto, essere di volta in volta affrontati, tenendo in considerazione la normativa vigente e applicabile ai diversi temi che vengono in rilievo.

In aggiunta a quanto previsto dal Codice deontologico, Farmindustria ha reso altresì disponibile un documento di Domande & Risposte (soggetto a periodici aggiornamenti), che fornisce ulteriori spunti utili per avviare programmi di supporto al paziente.

Dal punto di vista legale, quali sono gli aspetti più rilevanti a cui prestare attenzione quando si progetta un nuovo PSP?

In assenza di una regolamentazione puntuale dei PSP e considerate le peculiarità di ciascuna iniziativa non si può prescindere da una valutazione accurata da farsi caso per caso. Ad esempio, gli elementi da considerare in PSP che tendono alla formazione e addestramento del paziente o del caregiver, sono assai diversi rispetto a quelli che risaltano nei casi di consegna e/o di infusione domiciliare di medicinale.

Tuttavia, si può anzitutto osservare che le aziende che intendono approcciarsi a queste iniziative dovrebbero dotarsi di procedure interne dedicate per delineare i flussi e le fasi di valutazione e approvazione, avendo a mente il principio per cui “la funzione aziendale che ha la responsabilità decisionale del PSP non deve essere commerciale e opererà sotto la supervisione della funzione compliance dell’azienda”.

Tra gli elementi di spicco vi è poi il razionale del progetto, dal quale deve emergere il fondamento logico e scientifico del progetto stesso e che rappresenta, a mio avviso, un cardine anche rispetto a temi di compliance. Al razionale si accompagna la valutazione obiettiva delle finalità del programma rispetto ad alcuni elementi quali ad esempio: la pertinenza alla terapia, la congruità della prestazione resa, la proporzione della prestazione rispetto all’impatto della terapia e alla sua durata. Si tratta evidentemente di elementi che rafforzano la corretta qualificazione del programma nell’ambito dell’assistenza sanitaria a beneficio del paziente che è il solco inciso a livello etico e deontologico al di fuori del quale si rischia di sconfinare in terreni che potrebbero essere egualmente percorribili, ma applicando regole diverse. Si pensi, ad esempio, al tema dell’acquisizione di dati attraverso un PSP, che è ammissibile nei limiti in cui abbia una valenza di verifica del gradimento e dell’efficacia (anche scientifica) dell’iniziativa, mentre incontrerebbe delicatezze qualora sconfinasse nell’ambito di uno studio che richiederebbe notoriamente l’applicazione di norme specifiche.

Non meno importante è la definizione dei ruoli dei diversi soggetti coinvolti nei PSP attraverso la sottoscrizione di appositi contratti che delineino le competenze, gli adempimenti e le connesse responsabilità di ciascuno.

Dovranno poi essere attentamente soppesati i contenuti dei materiali divulgativi del progetto per escludere che possano “travisare” le finalità perseguire e creare malintesi su aspetti promozionali o di induzione alla prescrizione dei medicinali (l’assenza di intento promozionale deve essere “bi-direzionale”, ossia non solo nei confronti del paziente, ma anche degli operatori sanitari coinvolti).

Altro profilo che può meritare una riflessione è la corretta qualificazione giuridica dei software, che eventualmente vengono utilizzati nell’ambito di un PSP, verificando, in particolare, se rientrino o meno nella definizione di dispositivo medico. Al riguardo, occorre tenere conto delle disposizioni del Regolamento 2017/745/UE (cd. MDR), in tema di dispositivi medici, applicabili a partire dal 26 maggio 2021, che ampliano il novero di prodotti – tra cui appunto i software (cd. SaMD) – classificabili come “accessori di dispositivi medici”, con conseguente applicazione del MDR.

Infine, tenuto conto che talvolta i PSP prevedono lo svolgimento di prestazioni sanitarie a domicilio, non possiamo non ricordare la recente innovazione legislativa di cui all’art. 1, co 406, lett. a), l. 178/2020, che subordina ad autorizzazione sanitaria l’“erogazione di cure domiciliari”. La fase di attuazione di tale disposizione è stata avviata dall’intesa Conferenza Stato-Regioni il 4 agosto 2021, che assegna alle Regioni/Provincie Autonome un termine di 12 mesi per il completamento/adeguamento della disciplina a livello locale. Al momento, non è agevole prevedere se e come tale norma possa incidere sull’organizzazione e gestione di un PSP, ma è auspicabile che maggiori chiarimenti possano derivare proprio dai provvedimenti attuativi sopra richiamati.

È possibile raccogliere i dati che provengono dalle attività del PSP?

Riguardo al tema della raccolta dei dati si esprime il già ricordato art. 4.7 Codice deontologico di Farmindustria secondo cui “i dati raccolti nel PSP devono essere utilizzati solo per finalità di supporto ai pazienti. L’eventuale uso per altri scopi deve essere separatamente contrattualizzato, nel rispetto della normativa vigente”. Per “dati raccolti nel PSP”, specifica Farmindustria, si intendono anche eventuali survey relative al gradimento del servizio, che secondo il percorso prospettato dall’Associazione andrebbero somministrate direttamente dalla società di servizi o da un suo incaricato, previa adeguata informativa al paziente in relazione al fatto che tali dati, in forma aggregata e anonima, saranno comunicati all’azienda che supporta economicamente il PSP.

Pertanto, assumendo che la raccolta di dati nell’ambito di un PSP si inquadri nelle finalità di assistenza sanitaria a beneficio del paziente, non si può escludere affatto la possibilità di un diverso impiego di tali dati, purché sia delineato un percorso coerente lungo un impianto – anche contrattuale – che individui chiaramente gli scopi, le modalità di acquisizione e di utilizzo degli stessi, nel rispetto della normativa vigente (ciò anche per quanto concerne l’eventuale pubblicazione).

In proposito, assume particolare rilievo il tema del trattamento dei dati personali, essendo essenziale determinare i “ruoli” dei diversi soggetti coinvolti. Ciò comporta la necessità di una contrattualizzazione anche dal punto di vista della tutela dei dati personali: dovrà essere valutato il ruolo di ogni soggetto che prende parte al trattamento dei dati personali nell’ambito del PSP per individuare correttamente il titolare del trattamento (ed eventualmente il ruolo di contitolare), chi debba essere nominato responsabile del trattamento, se vi siano soggetti autorizzati al trattamento ed eventuali destinatari terzi.

Un altro aspetto rilevante è l’individuazione della base giuridica per il trattamento dei dati personali (ossia l’individuazione della condizione che legittima il trattamento). A tal fine, sovviene il provvedimento del Garante privacy del 7 marzo 2019, secondo cui solo i trattamenti di dati personali necessari al perseguimento delle finalità determinate ed esplicitamente connesse alla cura della salute possono essere effettuati in assenza del consenso dell’interessato e ricondotti alla base giuridica “per finalità di cura” di cui all’art. 9, par. 2, lett. h), del GDPR (Reg. UE 2016/679). Diversamente, ogniqualvolta il trattamento riguardi, solo in senso lato, la cura, ma non sia ad essa strettamente necessario (come nel caso dei PSP) occorre individuare una distinta base giuridica, quale, eventualmente, il consenso dell’interessato.

 

 

Intervista a Valeria Quintily, Project & Scientific Manager di LS Academy

Tempo di lettura: 2 minuti

Diffondere know-how e accrescere conoscenze scientifiche a tutti i livelli: è questa la mission di LS Academy. Ne parliamo con Valeria Quintily, Project & Scientific Manager, che sottolinea l’importanza dei PSP nei corsi di formazione.

La vostra mission è quella di contribuire a diffondere il know-how e accrescere le conoscenze scientifiche a tutti i livelli, come si inserisce la formazione PSP – specific in questo quadro?

LS Academy organizza corsi di formazione tecnico-scientifici per i professionisti del settore farmaceutico, dei dispositivi medici e/o dei prodotti medici correlati che operano nell’industria, nelle CROs, nel settore sanitario e della ricerca clinica.

Il profilo professionale a cui si rivolge si occupa di ricerca e sviluppo, produzione e commercializzazione di farmaci e dispositivi medici.

I Patient Support Program costituiscono un insieme di servizi rivolti ai pazienti e finalizzati a supportarli nella gestione della patologia e della relativa terapia, incrementando l’aderenza ai percorsi assistenziali, in definitiva migliorando la cura e la qualità di vita dei pazienti. Conoscerli e capire come mettere in pratica PSP efficaci costituisce quindi un arricchimento delle competenze professionali con ricadute positive per i pazienti pur rimanendo nell’ambito di sviluppo del business. Ecco perché rientrano nel nostro calendario formativo.

Unmet needs, patient journey, stakeholder maps, questi concetti chiave che riguardano i PSP possono considerarsi consolidati o rappresentano ancora una novità per i vostri clienti?

I PSP esistono da più di un decennio, ma negli ultimi anni è aumentata la consapevolezza del ruolo sempre più strategico che i PSP rivestono all’interno del modello di business dell’industria pharma e medical device. In concreto, stanno entrando a far parte dei nuovi modelli assistenziali in grado di garantire la sostenibilità del sistema sanitario.

Pur conoscendone l’esistenza e l’importanza, ci accorgiamo che c’è ancora molto spazio per parlare di PSP ai nostri clienti, in termini di strategia, di figure professionali interessate e soprattutto di quali azioni intraprendere, quali evitare e come mettere in pratica un PSP perché possa conseguire i risultati prefissati

Quali sono le regole per offrire una formazione di qualità in un settore complesso come quello della salute?

La regola principale a cui LS Academy si ispira è che il docente sia un esperto nello specifico ambito di formazione. La nostra proposta formativa non si basa sulla trasmissione di informazioni, ma è condivisione di esperienze personali pratiche, portate avanti in prima persona dall’esperto.

I nostri docenti non sono formatori di mestiere, hanno radici consolidate nel lavoro in ambito scientifico che poi vengono estese alla formazione.

Per garantire la qualità del servizio, oltre alla selezione del docente è fondamentale anche tutta la parte organizzativa che viene svolta dal nostro team, puntuale, preciso e attento alle esigenze del cliente.

PSP, la New Normal nel Supporto al Paziente

Tempo di lettura: 3 minuti

 In che modo il mondo healthcare potrà rispondere ai bisogni emergenti di quella che molti definiscono come la “nuova normalità” a seguito della fase acuta dell’emergenza sanitaria?

Come Steve Brown (autore di The Innovation Ultimatum: How Six Strategic Technologies Will Reshape Every Business in the 2020s) sottolinea rispondendo ad alcune domande del giornalista di Forbes: “We are a resilient, adaptable, and innovative species”.

Come si applica tutto ciò al contesto sanitario? Quali saranno quindi le soluzioni introdotte dai provider internazionali per costruire programmi di supporto al paziente “resilienti, adattabili e innovativi” rispetto al nuovo scenario post emergenza? Come sta evolvendo il concetto di PSP in questa fase transitoria?

New Normal in ambito sanitario

Distanziamento sociale, protocolli per una corretta igiene, utilizzo dei DPI e piani di gestione delle emergenze sono alla base di quella che è la transizione verso la “nuova normalità” del sistema sanitario dei prossimi mesi.

I diversi attori dell’healthcare dovranno collaborare per creare un metodo coordinato di utilizzo delle strutture ospedaliere, ma soprattutto di gestione delle cronicità. Prese in carico, terapie e follow-up saranno gestite sempre più con un mix equilibrato e consapevole di telemedicina e visite face-to-face.

Anche i sistemi informativi e la digitalizzazione potranno offrire vantaggi significativi nell’erogazione delle cure per garantire l’accessibilità sia lato Clinico al monitoraggio da remoto dei proprio assistiti, sia lato paziente ai consulti con il proprio Specialista di riferimento.

COVID-19, i PSP prima e durante l’emergenza

Drug delivery, home therapy, training, monitoraggio e telemedicina: le sfide da affrontare per i provider di programmi di supporto al paziente in questo periodo non sono state poche. Per rispondere in modo strutturato e integrato ai bisogni emergenti, grazie alla user experience e a un attento ascolto dei pazienti, i provider hanno pensato, progettato e integrato mix di componenti.

Tra questi, per garantire la continuità terapeutica e per limitare il rischio di contagio riducendo gli accessi non necessari al Centro, Healthcare Network Partners ha avviato numerosi progetti di Drug Delivery per recapitare i farmaci direttamente al domicilio del paziente. Prima della pandemia, questo genere di PSP non era molto diffuso, ma con il lockdown questa attività si è dimostrata fondamentale per garantire la continuità terapeutica.

Per quanto riguarda l’home therapy, è stato necessario cambiare alcune modalità rendendole a distanza sia nella raccolta delle informazioni sia nell’interazione con gli utenti del servizio. In particolare, nonostante il valore imprescindibile della presa in carico del paziente con un incontro di persona al Centro Clinico, la visita è stata trasformata in un teleconsulto con il Medico Specialista ed è stata affiancata da una videochiamata al primo accesso domiciliare tra il Medico di programma e il paziente.

Nelle Regioni che prima del lockdown non consentivano l’attivazione di PSP, durante il periodo emergenziale, HNP ha strutturato, avviato e reso disponibile in poche settimane diversi Programmi di Supporto al Paziente, applicando gli standard di qualità di servizio già presenti nelle altre regioni, con una vera e propria logica ready to go.

Anche i programmi di training hanno subito delle variazioni: per alcune patologie ed esigenze specifiche, prima del periodo emergenziale, si era scelta la forma di addestramento domiciliare, ma durante il lockdown sono stati implementati sistemi di video visita.

Per quanto riguarda il monitoraggio, il lavoro di HNP è stato capillare. Grazie al suo network di professionisti, è stato possibile rendere i protocolli più flessibili. Si è deciso infatti di aumentare la frequenza delle chiamate con Specialisti di riferimento e di attivare sportelli di supporto emotivo dove non erano presenti, per alleggerire il carico emotivo di pazienti fragili accentuato dal peculiare momento di isolamento.

Infine, dettati dalla necessità di avere delle soluzioni standardizzate, affidabili e scalabili, ma affiancate a supporti personalizzati che tenessero conto del digital divide, sono stati avanzati dei progetti di Telemedicina.

Ed è proprio questo nuovo modo di pensare al supporto che servirà come base per la strutturazione di PSP sempre più in linea con i bisogni emergenti della “New Normal” in ambito sanitario.

 

COVID-19, uno storytelling di qualità per aiutare gli attori dell’healthcare

Tempo di lettura: 3 minuti

Nei mesi appena passati, l’informazione sulla pandemia è stata la protagonista indiscussa su tutti i media, mettendo alla prova la nostra capacità di verificare la veridicità delle fonti e dei contenuti. Quale impatto ha avuto questo surplus mediatico per chi, come un paziente, si trova a fare i conti tutti i giorni con il tema della propria salute? Capire come cambia la propria convivenza con la malattia nella pratica quotidiana, come cambiano le possibilità di essere assistiti, quali protocolli di sicurezza vengono garantiti per chi fa parte di un programma di supporto è stato un tema di primaria importanza nella comunicazione operata dai provider del mondo healthcare.

In che modo si può realizzare una comunicazione che va oltre l’informazione? Raccontando delle storie che permettano la condivisione delle esperienze.

Le storie possono puntare la lente sui diversi attori, possono servire per dare un esempio di come una situazione così peculiare come quella appena passata abbia avuto risvolti positivi e negativi, proprio come ogni altro avvenimento. E per i provider di programmi di supporto, quali sono le storie che possono permettere la condivisione? Sono quelle di chi ogni giorno rimane accanto ai pazienti e continua la sua attività di infermiere, medico, psicologo, nutrizionista o fisioterapista. Queste storie racchiudono anche le paure di chi, tutti i giorni, è costretto a modificare il proprio ruolo attivo alla luce dei nuovi rischi che correrà nel proprio percorso terapeutico.

Spiegare le difficoltà e mostrare le preoccupazioni di pazienti e operatori della salute, fare emergere attraverso queste storie condotte virtuose, risaltare l’impegno per garantire la sicurezza di tutti coloro che sono coinvolti in una relazione, è un impegno, ma anche un’opportunità per il mondo healthcare.

Coronavirus, uno storytelling italiano

 Dopo la Cina, l’Italia è stato uno dei primi Paesi a dover prendere delle misure restrittive per arginare la diffusione del COVID-19 sul territorio nazionale. La salute è il tema più importante che riguarda le vite di tutti, e allora dove documentarsi? Che cosa cercare?

Da qui la scelta operata da molti professionisti della salute di sfruttare i canali social per veicolare le proprie narrazioni individuali e per cercare di rispondere agli interrogativi delle persone prima che queste rischiassero di trovare in rete soluzioni false o fuorvianti.

Accanto alle necessità informative di pazienti e caregivers, di fondamentale importanza è stata anche la narrazione funzionale a condividere esperienze tra gli operatori del mondo healthcare. Quando improvvisamente le prassi di supporto si sono dovute adattare alle normative contro la diffusione del COVID-19 e ai contatti diretti con i pazienti si sono sostituiti meccanismi di distanziamento sociale, tutto si è fatto più confuso e ha richiesto un adattamento che è stato spiegato non solo tramite circolari, ma anche con il racconto.

Gli operatori di HNP si raccontano

Cosa significa essere un infermiere che si occupa di terapia domiciliare ai tempi del Coronavirus? In che modo si può continuare il proprio lavoro di psicologo o psicoterapeuta a distanza?

Come si possono adattare sedute fisioterapiche e nutrizionali nel rispetto dei nuovi standard di sicurezza? Come si gestisce il contatto con i propri pazienti quando viene richiesto di mantenere una distanza di sicurezza? Quando un operatore sanitario può, per il suo ruolo, diventare una figura di cui avere paura perché supporta tanti pazienti e quindi può diventare veicolo del virus?

Lo si può fare con una corretta informazione ai pazienti, una corretta formazione agli stessi operatori, ma anche chiedendo a questi ultimi di raccontare cosa stanno vivendo, per capire come agire e migliorare il supporto.

HNP ha sviluppato un progetto di storytelling per raccontare, in primis a tutti i suoi operatori e di conseguenza anche a tutti i suoi interlocutori, cosa ha significato continuare a prendersi cura dei pazienti proprio attraverso il racconto di chi non ha mai smesso di occuparsi di Patient Support Programs.

Grazie ai racconti di Valentina, Anisoara, Sarah, Gaia, Alessio, Orazio, Roberta, Davide, Alessandro, Fausto, Francesca, Alfonsina e Giulia – che sono solo alcuni degli infermieri, fisioterapisti e psicologi che compongono la rete HNP – Healthcare Network Partners ha costruito un quadro più che mai realistico e concreto di quello che è stato fatto per garantire la continuità di supporto e trattamento nella sicurezza di pazienti e operatori.

 

 

 

 

 

Studiare il corretto protocollo di supporto nutrizionale: un processo per fasi

Tempo di lettura: 2 minuti

Il sesso, l’età, le condizioni patologiche, l’attività fisica, le ore e la qualità del sonno, i farmaci,  le integrazioni, la digestione, la diuresi, la funzionalità intestinale continuando con la sete, il mal di testa, le allergie, le reattività alimentari, la forma del corpo, la regolarità del ciclo mestruale e i disturbi ginecologici, così come le manifestazioni cutanee, le appetenze, le alterazioni dell’umore, la predisposizione e le motivazioni a cambiare le abitudini alimentari e quelle quotidiane: l’elenco delle caratteristiche che rendono una persona unica potrebbero continuare. Siamo tutti meravigliosamente diversi.

L’individualità e la peculiarità di ognuno deve essere quindi approfondita, accolta e studiata per costruire un piano alimentare che calzi a pennello.

Viene da sé che farsi prestare la dieta dall’amica che è stata da un nutrizionista non è cosa buona e giusta, così come seguire regimi alimentari letti su un giornale non è un modo saggio per prendersi cura di sé.

Ognuno di noi ha diritto ad un piano alimentare ad personam, preciso ed unico che possa sostenere, riparare e riequilibrare il corpo.

Il colloquio con il paziente che necessita di un piano alimentare dovrebbe richiedere il tempo necessario per avere un inquadramento della persona che sia il più ricco e dettagliato possibile e che permetta di guidarlo verso scelte alimentari che siano appropriate a uno stato dinamico e di cambiamento.

Siamo dunque in continuo mutamento e quando introduciamo un alimento c’è un’interazione cibo- corpo; l’effetto di questa dipende da due fattori: le caratteristiche chimiche e le proprietà nutrizionali dell’alimento (vitamine, minerali, carboidrati, grassi, proteine, fibre) ma soprattutto lo stato in cui si trova l’organismo in quel momento – come sta funzionando l’intestino, lo stato infiammatorio silente, la capacità digestiva, la condizione emotiva.

Questi intrecci vanno osservati e studiati: è questo il frutto del lavoro che nasce dall’interazione diretta tra nutrizionista e paziente.

E quando il supporto nutrizionale diventa una componente offerta da un PSP? Il confronto diretto nutrizionista- paziente lascia spazio ad una personalizzazione per step codificati.

Il paradigma cambia: si parte dallo studio e dalla raccolta delle linee guida previste per ogni particolare condizione patologica. Questo risulta il primo passo per studiare un percorso nutrizionale che possa accompagnare il paziente nell’acquisizione di nuovi e corretti stili alimentari.

Risulta fondamentale segmentare la popolazione d’interesse per creare gruppi omogenei (sulla base di fattori quali comportamenti, caratteristiche fisiche e attitudini alimentari). Concentrandosi sui singoli personas creati si possono affinare le indicazioni alimentari e renderle più specifiche e di conseguenza più facilmente attuabili.

L’interazione diretta con i pazienti avviene in fase di erogazione del supporto: il colloquio, la raccolta delle difficoltà e dei punti di forza rispetto al percorso alimentare permette di fare sì che le indicazioni alimentari vengano costantemente riviste e migliorate sulla base dell’esperienza del destinatario finale.

Coronavirus, le disposizioni di operatività dei PSP e di sicurezza dei lavoratori disciplinate da HNP

HNP sin dal primo giorno si è attivata, alla luce delle misure cautelative disposte a livello nazionale e regionale per contenere la diffusione del virus Sars coV2 (Coronavirus), definendo un piano di attività finalizzato a garantire sia la sicurezza e tutela di lavoratori e utenti, sia la continuità delle attività di business aziendale.

Una direzione di risk management con un team composto dal Chief Operations Officer, Quality Manager & Compliance Support, HR e IT managers ha proceduto alla valutazione degli aspetti operativi e/o impattanti relativi al personale di sede e sul territorio, all’erogazione delle attività, comunicando quanto previsto ai clienti.

Sin dall’inizio sono stati determinati e comunicati ai diversi stakeholder dell’azienda i soggetti di riferimento per le comunicazioni in merito al piano di emergenza e sono state illustrate le procedure da mettere in atto sia agli operatori del territorio, che ai Coordinatori, medici e utenti.

In particolare, il personale di sede ha proseguito le attività ordinarie negli uffici attenendosi alle indicazioni del Ministero della Sanità sui comportamenti da seguire, limitando le trasferte in zona nord e preparandosi in caso di necessità di lavoro in smart working.

Operatività dei PSP

HNP ha disposto che tutti gli operatori che risiedono in zone di quarantena siano sospesi dalle attività presso i pazienti o i Centri Clinici sino a diversa indicazione (sono viceversa fattibili le attività che prevedono supporto a distanza ad esempio call center).

Nelle Regioni oggetto di ordinanza, per tutti i PSP che prevedono training e/o monitoraggio ovvero che non necessitano di una presenza fisica dell’operatore, le visite sono state limitate e/o posticipate o se possibile sostituite con un contatto telefonico.

Per i PSP che prevedono un atto sanitario non delegabile -come nel caso degli home treatment e prelievi domiciliari – gli infermieri sono stati chiamati ad adottare il protocollo previsto per singolo PSP e in particolare a contattare il paziente 24 ore prima della visita per assicurarsi sulle condizioni di salute e, in presenza di sintomatologie “sospette” (es. raffreddore, febbre, tosse, etc.), avvisare il medico di Servizio. E’ stata inoltre integrata la dotazione degli appositi presidi di sicurezza degli operatori.

Attraverso una comunicazione ufficiale rivolta a tutti gli operatori è stata esplicitamente sottolineata l’importanza di segnalare eventuali mancate visite rispetto ai protocolli previsti e nel caso di insorgenza di una sintomatologia analoga alle comuni infezioni respiratorie come raffreddore, febbre, tosse, dolori muscolari e difficoltà respiratorie, di informare immediatamente il proprio Coordinatore al fine di individuare in modo tempestivo le modalità più opportune per la sostituzione o posticipazione dell’attività.

I clienti dei relativi PSP sono stati informati dei protocolli messi in atto al fine di garantire una comunicazione tempestiva di cambi eventuali e dell’andamento delle attività già pianificate.

 

 

Patient ambassador, un aiuto peer-to-peer per i pazienti

Tempo di lettura: 3 minuti

“Come ti sei sentito al momento della diagnosi?”

“Sono spaventato perché sento che la mia vita cambierà, tu ti sentivi così?”

Arriva la diagnosi e ogni paziente si trova a vivere un momento cruciale nella sua journey di malattia. Imparare a convivere in un nuovo assetto, quello di malato, è estremamente complesso, molto spesso genera dubbi e sensi di inappropriatezza.

Negli ultimi anni la cura si accompagna ad un altro bisogno fondamentale: quello di condivisione.

A volte i pazienti hanno bisogno di altri pazienti

 “Altri pazienti ti possono aiutare. Hanno (o hanno avuto) la tua condizione, così come le tue ansie e domande. I loro percorsi possono essere istruttivi e utili e possono aiutare a prepararti per il prossimo appuntamento con il medico”. Così scrive Aaron E. Carroll, professore di pediatria alla Indiana University School of Medicine, descrivendo come anche nel mondo sanitario valga una delle attitudini più comuni dell’essere umano: il confronto con chi si ritiene simile.

Già all’inizio degli anni 2000, a fianco delle più tradizionali Associazioni di Pazienti, sono nati i primi blog, forum e siti web in cui i pazienti hanno cominciato a condividere le proprie esperienze e a rispondere alle domande di altri che si trovavano nella loro stessa situazione.

Ma se, invece di cercare online, si potesse trovare l’appoggio di un altro paziente all’interno del proprio programma di supporto?

I patient ambassador nei PSP

In alcuni programmi di supporto si sta delineando in modo sempre più marcato la figura di un paziente che, avendo già vissuto una parte del percorso di cura, diventa un vero e proprio riferimento per altri che ancora devono affrontarlo. Questa tipologia di paziente può essere definita ambassador.

Nelle survey di qualità che di prassi vengono somministrate ai pazienti inseriti in un PSP, uno dei bisogni che emerge con più frequenza è quello di avere un paziente più esperto appartenente allo stesso programma con cui condividere i pensieri, le preoccupazioni e le domande che sorgono nella quotidianità. Un aiuto peer-to-peer che non si sostituisca mai alla figura dello Specialista ma che possa aiutare in tutti quegli aspetti soft che comporta l’essere malato.

Il ruolo e la formazione dei patient ambassador

Il ruolo del paziente ambassador può quindi diventare una componente chiave in progetti di supporto al paziente, e per questo deve essere studiato e regolamentato.

Questa figura deve ricevere una formazione sull’importanza della riservatezza delle informazioni che riceve, sulle modalità di trasferimento e sulla gestione delle stesse. Attraverso l’utilizzo dei mezzi di comunicazione digitale, dei social network, delle chat e dei forum di discussione, il rischio di mettere online informazioni sensibili è sempre più alto. Per questo motivo è importante che i profili emergenti nel mondo helthcare ricevano anche una formazione più tecnica per risultare complianti alle nuove regole del GDPR.

Fornire un supporto ad altri pazienti, richiede che questi ambassador lo ricevano a loro volta, per evitare che il peso emotivo di cui si prendono carico non sfoci in situazioni di burnout.

Rivivere alcune situazioni attraverso le preoccupazioni e le paure di chi le sta affrontando, può portare questi pazienti a influenze sulla propria emotività. Per questo, può risultare utile un percorso con una figura di counsellor in grado di offrire un supporto passo dopo passo.

Come si sceglie un paziente ambassador?

Ci sono scale e questionari che dipendono dal tipo di supporto che viene richiesto: selezionare il giusto patient ambassador deve tenere conto del tipo di supporto disegnato. Due variabili determinanti possono essere rappresentate dal livello di engagement nel suo percorso di cura e dal suo “stay in PSP”.

Si tratta di un ruolo che ancora presenta confini poco delineati, ma che indubbiamente nasce da un bisogno forte dei pazienti. Pertanto, una delle sfide attuali del mondo healthcare è quella di formare al meglio le nuove figure dei patient ambassador, rendendoli testimoni credibili, con basi solide e supporto necessario per essere al meglio vicino agli altri pazienti.