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PATIENT EXPERIENCE DESIGN: INTERVISTA AL PROFESSOR PIERGIORGIO DEGLI ESPOSTI

Patient experience design_intervista al Sociologo Piergiorgio Degli Esposti

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Costruire soluzioni che tengano conto delle unicità dei pazienti e delle loro esigenze, che sappiano cogliere le peculiarità di ogni needs per tradurlo in soluzioni di valore. In tre parole: patient experience design. Ne abbiamo parlato con Piergiorgio Degli Esposti, PhD in Sociologia e Politiche Sociali, professore associato presso il Dipartimento di Sociologia e Diritto dell’Economia SDE dell’Università di Bologna.

Il nuovo approccio al paziente tende sempre di più a considerarlo come un prosumer con le sue scelte e le sue varie aree di interesse indipendentemente dalla patologia. Che riflesso ha questo aspetto sulla ricerca?

Nell’era del patient empowerment, che fornisce alle persone gli strumenti per prendere decisioni migliori per il loro benessere, si sono moltiplicate le soluzioni alternative alla cura di una patologia spostando il focus dell’attenzione scientifica sempre più nella direzione del prosumer (produttore/consumatore). La ricerca sociologica nello specifico ormai da anni utilizza questo nuovo criterio di analisi per comprendere la complessità dei fenomeni e delle dinamiche sociali. Il prosumer è un utente informato (conosce il prodotto), critico (confronta, valuta e ragiona prima dell’acquisto), esigente, originale (cerca di rendere unico il prodotto di massa) e partecipativo (contribuisce alla creazione del prodotto). In questa nuova veste maggiormente informata e attiva nel proprio processo di cura, il prosumer compie scelte più responsabili in merito alla propria salute diventando un consumatore delle informazioni promosse dai brand su servizi e prodotti. I processi decisionali del prosumer si creano principalmente attraverso la consultazione dei canali social e per mezzo della tecnologia grazie alla reperibilità di informazioni on demand, la disponibilità continua delle fonti e la semplicità di accesso. Per tale motivo, diventa sempre più necessario lo sviluppo di modelli e progettualità basati sia sull’osservazione dei bisogni delle persone sia sul coinvolgimento della tecnologia.

Per disegnare progetti su misura dei pazienti, che sono prima di tutto persone, occorre dunque anzitutto analizzare i loro bisogni. Quali sono le principali tecniche di analisi per lavorare efficacemente in questa direzione?

Fare ricerca con le persone rappresenta sempre una sfida coinvolgente ed estremamente complicata. La possibilità di cucire settorialmente su pazienti servizi efficaci passa in primo luogo attraverso la comprensione delle loro soggettività, le loro paure, le loro problematiche specifiche; in modo tale da poter offrire servizi che appunto comprendano la loro complessità ed unicità. Pensare il paziente prima di tutto come una persona è il primo ed essenziale elemento da prendere in considerazione per cogliere la complessità dei loro bisogni; per farlo, prima di tutto è necessario riscoprire la capacità di ascolto e di interazione con l’altro, in maniera sincera ed empatica. In un’epoca come la nostra il massimo del valore si ritrova nel dialogo, nella comprensione, nell’ascolto e nel coinvolgimento. Pertanto gli strumenti come l’intervista in profondità, il focus group o il word cafè, solo per citarne alcuni, sono indubbiamente i migliori per cucire sartorialmente il miglior servizio possibile.

Patient experience design: quanto valore genera l’analisi qualitativa dei bisogni rispetto alla creazione di servizi healthcare?

La nostra realtà è colma di informazioni quantitative di ogni genere, al punto che un fenomeno pare avere significato soltanto se quantificabile numericamente. Questo tipo di approccio, che oggi vede la sua massima rappresentazione nei cosiddetti Big Data, o impronte digitali che lasciamo tutti nelle nostre interazioni tra realtà fisica e spazi digitali tende però a fornire una visione ultra specifica ma poco profonda (si chiamano appunto big e non deep) dei fenomeni. L’utilizzo di strumenti di analisi qualitativa, come appunto la PED, sono in grado di restituire un enorme valore nella ricerca. Grazie appunto alla profondità delle informazioni raccolte e la comprensione delle motivazioni che sostengono i bisogni degli utenti è possibile costruire sofisticati servizi healthcare, che tengano in considerazione la complessità e le sensibilità di coloro che poi ne saranno i fruitori.

 

Valutare il potenziale dei propri collaboratori

valutare il potenziale

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Quando si parla di valutazione del personale non ci si riferisce solo alla misurazione della prestazione lavorativa ma piuttosto alla gestione (. piani incentivanti, premi, …) e allo sviluppo (interventi formativi, piani di carriera, etc..) delle persone che operano all’interno dell’organizzazione.

Tra le diverse tipologie di valutazione ce n’è una che risulta particolarmente complessa: quella del potenziale.

La valutazione del potenziale permette di indagare se una risorsa possiede delle caratteristiche, delle capacità, delle attitudini che in quel momento non sono ancora state espresse. Infatti queste possono non essere richieste dal ruolo che attualmente si ricopre, risultano però importanti per individuare quali sono le sue aree di miglioramento e di sviluppo, con l’obiettivo di progettare percorsi di crescita interni o di cambio di ruolo.

Quando si struttura un percorso di valutazione del potenziale è importante procedere per step: il primo punto è la definizione degli obiettivi e delle finalità di intervento, in questo modo si potranno delineare i criteri di valutazione e gli strumenti per portare avanti l’analisi.

Per quanto riguarda gli strumenti si può scegliere tra: assessment center, interviste (non solo ai partecipanti della valutazione ma anche a colleghi o superiori), prove in basket, osservazioni sul campo, test e questionari.

È importante condividere con le risorse coinvolte quelli che sono gli obiettivi e i criteri di valutazione e pianificare un momento di feedback e restituzione dei risultati al termine del percorso.

Questo processo risulta applicabile anche a professionalità verticali nel mondo healthcare come gli infermieri? Assolutamente sì, ed è per questo che abbiamo iniziato un percorso rivolto alla nostra rete infermieristica in collaborazione con @Donata Bruzzi – psicologa del lavoro.

Il progetto pilota si concentra su 10 profili differenti per geografia, tipo di attività e anzianità di servizio.

L’obiettivo è stato quello di valutare le competenze comportamentali degli infermieri rispetto ad alcune aree quali: coordinamento, pianificazione, leadership e aderenza ai valori e alla mission di HNP. Per fare questo, il percorso di valutazione ha previsto:

  • un colloquio finalizzato a raccogliere un quadro di competenze, valori e motivazioni
  • la somministrazione di una batteria di test psicoattitudinali.

In linea con le attuali evoluzioni tecnologiche, l’intero processo di valutazione è avvenuto tramite strumenti digitali: la batteria di test Hogan, costruita in modo da rendere immediata la compilazione via web, e una intervista attraverso videocall. Questo ci ha permesso di gestire l’assessment in modo agile, limitando l’impatto logistico dell’iniziativa, ma nello stesso tempo preservando la qualità dell’osservazione delle persone coinvolte. È infatti una pratica consolidata l’utilizzo di videointerviste e strumenti on line anche per le attività di assessment, come l’assessor ha spiegato in un articolo:

Ad esperienza conclusa, la percezione da parte della assessor è stata di “un buon livello di partecipazione da parte delle persone coinvolte, che hanno dimostrato curiosità e disponibilità ad accogliere i feedback. Ciascuno di essi ha ricevuto un quadro complessivo sulle proprie competenze comportamentali, ed alcune indicazioni per migliorare la performance sia al momento attuale, che in ottica di sviluppo del percorso lavorativo in HNP. Nel suo insieme la squadra coinvolta nel processo di valutazione si è caratterizzata per la presenza di persone sensibili alla qualità e all’innovazione scientifica, propense ad un atteggiamento altruistico verso clienti e colleghi, attente nell’ascolto degli altri, in linea con i valori aziendali”.

Emerge così come la valutazione del potenziale abbia una duplice importanza sia per l’organizzazione sia per le persone coinvolte: la prima può, in ottica strategica, avere un quadro più chiaro delle competenze del suo team e degli strumenti che può mettere in campo per favorire l’engagement.  Dall’altro, le risorse coinvolte si sentono valorizzate, non solo per poter prendere parte alla crescita aziendale ma anche per avere la possibilità di mettersi in gioco e acquisire una maggior consapevolezza delle loro potenzialità.

 

Come misurare la soddisfazione di un servizio? Il ruolo della Patient Experience survey

patient experience survey

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Misurare la soddisfazione rispetto a un servizio- in ambito healthcare è ritenuta una delle attività fondamentali.

Per questa ragione le “Patient Experience” (PE) survey risultano lo strumento più appropriato per comprendere non solo il livello di soddisfazione degli utilizzatori rispetto ad un servizio ma anche le loro esperienze e aspettative.

I dati sulle percezioni dei pazienti sono di grande valore informativo: sono indicatore di aderenza terapeutica, qualità della vita e delle cure, outcomes di salute e sicurezza di farmaci e dispositivi medici.

Inoltre misurare la PE risulta fondamentale per garantire un corretto andamento dei servizi sanitari, come suggerito in un recente articolo di LaVela et al. in cui si parla di come questo strumento sia importante per migliorare il processo decisionale, di gestire efficacemente e monitorare la performance di servizi, offrire benchmark e informare un’organizzazione sui processi di miglioramento interno.

Approccio qualitativo o quantitativo?

Vi sono diverse modalità di valutazione dei servizi, di tipo quantitativo e qualitativo. Tra gli approcci quantitativi, i questionari strutturati che raccolgono le “Patients Reported Experience Measures” (PREMs) sono la principale fonte di misurazione della PE; essi sono strutturati per produrre dati numerici che possono essere analizzati statisticamente per fornire informazioni su andamenti, trend e associazioni e permettono una comparazione avanzata.

L’esperienza però non basta: per offrire un quadro più ampio sull’outcome di salute del paziente è importante combinare la PE alla rilevazione delle condizioni cliniche.

In questo modo si può avere un quadro più chiaro sull’esperienza di cura.

La tipologia di domande e le metriche di misurazione scelte hanno un alto impatto sulle informazioni che si ricavano e sulla capacità di monitorare l’esperienza (Qualtrics, 2022): per questa ragione è importante tenere presente le caratteristiche e le potenzialità di ciascuna tecnica.

Binary questions

Permettono un riscontro immediato alla domanda; porgendo un semplice quesito è possibile ottenere un riscontro sul fatto che i bisogni del paziente siano stati soddisfatti o meno.Tuttavia, tale modalità non permette di contestualizzare appieno la risposta e offre limitato campo di indagine sulle variabili che condizionano l’esperienza del paziente.

Likert scale

Questa modalità fornisce opzioni di risposta con un range che varia da un estremo all’altro (da molto soddisfatto a per nulla soddisfatto). Può presentarsi come scala dispari – con una risposta neutrale nel mezzo – o scala pari, che rimuove la risposta nel mezzo per offrire una scelta binaria. Scegliere se adottare una scala dispari o pari spetta all’investigatore, l’evidenza suggerisce che scale con 2 opzioni di risposta hanno meno affidabilità di scale con 5 opzioni. Dopo le 5 opzioni di risposta però l’affidabilità si livella, offrendo una utilità incrementale minima. Queste tipologie di survey sono semplici da impostare, da comprendere e completare e forniscono dati di PE quantificabili e codificabili.

Tuttavia, questa modalità da sola non permette di comprendere la reale attitudine dei pazienti: essi infatti possono avere specifiche motivazioni che inducono alla risposta ma che non sono evidenziate dalla domanda o possono sentirsi riluttanti nel selezionare l’opzione di risposta estrema, anche se in linea con la loro esperienza.

Multiple choices

Permettono di scoprire di più riguardo i pazienti e le loro esperienze. Questo tipo di domande possono guidare i pazienti, fornendo un testo alle risposte selezionabili. Anche questa modalità da sola non permette di comprendere appieno la reale attitudine dei pazienti.

Open-ended questions

Questo tipo di domande permettono al paziente di fornire una descrizione che utilizza le sue parole per descrivere quanto apprezzo un prodotto o un servizio. Domande con campi aperti sono utili per approfondire le ragioni delle risposte, raccogliere feedback e avvertimenti sul servizio. Tuttavia, esse richiedono un maggior sforzo per i rispondenti che possono sentirsi scoraggiati dal compilare i campi aperti.

Semantic-differential questions

Sono domande descrittive che permettono di scegliere un’opzione di risposta che meglio rappresenta l’opinione rispetto a un concetto dato (quanto sei d’accordo con questa affermazione? Per nulla, poco, abbastanza, molto). Queste domande sono etichette nelle quali il paziente si riconosce, sentendosi più libero di indicare il suo stato. Questa tipologia permette al paziente di rispondere in maniera più spontanea e specifica, liberandolo dalla scelta della opzione “che il mio Clinico si aspetta”.

Check list format

Questa modalità, tipica delle customer satisfaction, è ampiamente utilizzata nel contesto dei servizi sanitari per valutare le esperienze e la soddisfazione rispetto a un servizio offerto (es. ospedale, professionista sanitario). Comprende una lista di item che possono essere selezionati e marcati dal paziente.

Patient experience design: la ricerca etnografica

Osservare, raccogliere elementi che ci possano aiutare a decifrare dei comportamenti, a portare in luce i bisogni.

Osservare per disegnare servizi su misura  per i pazienti.

La ricerca etnografica è una delle componenti del patient experience design, la più delicata perché è quella che ci mette in contatto con il campione che vogliamo analizzare. I tasselli che la compongono sono diversi: c’è l’attività di osservazione vera e propria che può avvenire con tecniche a cui va aggiunto l’utilizzo di materiali da osservare (documenti, foto, audio, video, etc) che possono essere importantissimi per contestualizzare al meglio la ricerca.  A questo vanno aggiunte: capacità empatiche, di analisi e una dettagliata reportistica in grado di presentare in maniera chiara i risultati e proporre delle riflessioni per agire.

Non è più possibile disegnare progettualità rivolte ai pazienti senza mettersi nei loro panni, questo è possibile solo osservandoli e analizzandone i comportamenti nei loro ambienti, sui loro canali.

L’approccio conoscitivo sta cambiando rapidamente e per questo implementare strumenti che partano dalla più tradizionale ricerca etnografia fino alla giovanissima netnografia (o digital etnography) diventa fondamentale per offrire soluzioni healthcare che tengano conto dei bisogni reali e dei contesti, quelli realmente vissuti.

Verso la  business etnography

Si parla in maniera appropriata di ricerca etnografica quando si ricorre all’osservazione partecipante come tecnica privilegiata di rilevazione delle informazioni. Al ricercatore è richiesto un livello alto di coinvolgimento nella realtà osservata a contatto diretto con le persone e il contesto di interesse, ma in ambito healthcare, quando si parla di fornire soluzioni patient centered, è più corretto riferirsi alla business etnography. Come sottolinea nel suo blog, Maria Cristina Lavazza, esperta di Experience Design, la business etnography ha due caratteristiche ben definite: ha un committente reale che commissiona la ricerca con obiettivi precisi e a cui vanno restituiti i dati rilevati in maniera funzionale a creare soluzioni di design. In questo caso quindi il ricercatore deve essere in grado di osservare il contesto in modo puntuale cogliendo anche i dettagli all’apparenza più ininfluenti. Capire senza forzare ed essere abili nel mantenere un distacco emotivo al contempo maturando una necessaria empatia per rendere complice del processo di studio lo stesso soggetto della ricerca risulta fondamentale quando il contesto di riferimento è quello della salute. Tutto ciò con il fine di costruire soluzioni che tengano conto delle unicità dei pazienti e delle loro esigenze, che sappiano cogliere le peculiarità di ogni needs per tradurlo in soluzioni di valore.

Netnography, gli strumenti digitali a servizio della ricerca anche durante l’emergenza da COVID-19

Il distanziamento sociale dato dalle norme per contenere la diffusione del virus Sars-Cov2 ha dimostrato che anche la ricerca deve muovere i suoi passi tenendo conto delle limitazioni imposte dalla pandemia.
Inoltre, in un ambiente sempre più digitalizzato come quello attuale, nel quale le persone spendono la maggior parte del loro tempo a interagire tramite digital device, diventa imprescindibile integrare a una ricerca effettuata in presenza degli strumenti che sappiano mappare in nuovi contesti sempre più web-based.
I nuovi media rendono osservabili ed accessibili pensieri, comunicazioni, relazioni, emozioni e identità che prima rimanevano privati e nascosti.

La netnography, o etnografia digitale, si basa sostanzialmente sull’osservazione delle azioni degli utenti in rete: cosa dicono, come si comportano e come si relazionano tra loro. Tutto questo è fondamentale anche quando si parla di Salute.
La netnografia integra quindi le informazioni raccolte attraverso gli insight e le rende ancora più fruttuose svelando il senso che si nasconde dietro ai numeri.
Non si deve peraltro dimenticare, come suggerito da Alice Avallone – etnografa digitale – che gli utenti di internet sono in primis persone e proprio per questo motivo l’etnografia digitale assume un ruolo fondamentale nei contesti aziendali: è infatti possibile attribuire un calore umano ed emotivo alla freddezza dei dati raccolti dai medical device, dai tracker digitali e dagli altri strumenti che accompagnano la quotidianità dei pazienti.

Non bisogna mai perdere di vista l’obiettivo: osservare e convertire per disegnare soluzioni che migliorino la journey di malattia.

Alla luce di quanto analizzato, si può affermare che l’etnografia, una delle tecniche più note dell’antropologia e della sociologia, rappresenta uno strumento fondamentale anche in ambito healthcare.

Affiancando alle sue metodologie più tradizionali le nuove possibilità offerte dal digitale, la ricerca etnografica diventa la base per costruire soluzioni di design aggiornate e soprattutto personalizzabili.