Intervista a Valeria Quintily, Project & Scientific Manager di LS Academy

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Diffondere know-how e accrescere conoscenze scientifiche a tutti i livelli: è questa la mission di LS Academy. Ne parliamo con Valeria Quintily, Project & Scientific Manager, che sottolinea l’importanza dei PSP nei corsi di formazione.

La vostra mission è quella di contribuire a diffondere il know-how e accrescere le conoscenze scientifiche a tutti i livelli, come si inserisce la formazione PSP – specific in questo quadro?

LS Academy organizza corsi di formazione tecnico-scientifici per i professionisti del settore farmaceutico, dei dispositivi medici e/o dei prodotti medici correlati che operano nell’industria, nelle CROs, nel settore sanitario e della ricerca clinica.

Il profilo professionale a cui si rivolge si occupa di ricerca e sviluppo, produzione e commercializzazione di farmaci e dispositivi medici.

I Patient Support Program costituiscono un insieme di servizi rivolti ai pazienti e finalizzati a supportarli nella gestione della patologia e della relativa terapia, incrementando l’aderenza ai percorsi assistenziali, in definitiva migliorando la cura e la qualità di vita dei pazienti. Conoscerli e capire come mettere in pratica PSP efficaci costituisce quindi un arricchimento delle competenze professionali con ricadute positive per i pazienti pur rimanendo nell’ambito di sviluppo del business. Ecco perché rientrano nel nostro calendario formativo.

Unmet needs, patient journey, stakeholder maps, questi concetti chiave che riguardano i PSP possono considerarsi consolidati o rappresentano ancora una novità per i vostri clienti?

I PSP esistono da più di un decennio, ma negli ultimi anni è aumentata la consapevolezza del ruolo sempre più strategico che i PSP rivestono all’interno del modello di business dell’industria pharma e medical device. In concreto, stanno entrando a far parte dei nuovi modelli assistenziali in grado di garantire la sostenibilità del sistema sanitario.

Pur conoscendone l’esistenza e l’importanza, ci accorgiamo che c’è ancora molto spazio per parlare di PSP ai nostri clienti, in termini di strategia, di figure professionali interessate e soprattutto di quali azioni intraprendere, quali evitare e come mettere in pratica un PSP perché possa conseguire i risultati prefissati

Quali sono le regole per offrire una formazione di qualità in un settore complesso come quello della salute?

La regola principale a cui LS Academy si ispira è che il docente sia un esperto nello specifico ambito di formazione. La nostra proposta formativa non si basa sulla trasmissione di informazioni, ma è condivisione di esperienze personali pratiche, portate avanti in prima persona dall’esperto.

I nostri docenti non sono formatori di mestiere, hanno radici consolidate nel lavoro in ambito scientifico che poi vengono estese alla formazione.

Per garantire la qualità del servizio, oltre alla selezione del docente è fondamentale anche tutta la parte organizzativa che viene svolta dal nostro team, puntuale, preciso e attento alle esigenze del cliente.

Human centered design in sanità: i cultural probes

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In maniera sempre più frequente e strutturata la creazione di servizi e campagne per i pazienti parte dalla loro osservazione e ascolto. Interviste etnografiche, focus group, osservazioni partecipanti sono tecniche del patient experience design che risultano fondamentali per collezionare informazioni sui bisogni, i pain points della journey.

Le cultural probes si inseriscono nel quadro dello human centered design e offrono un vantaggio rispetto ai metodi precedentemente citati: permettono di misurare l’interazione del paziente real time, senza la mediazione e la presenza del ricercatore.

Raccogliere informazioni in maniera informale e interattiva

Possiamo considerare i cultural probes come sorte di diari di bordo che vanno oltre le parole e viaggiano su canali differenti.

Generalmente questa tecnica prevede l’invio agli interessati di un kit che può contenere oggetti (post it per annotare, cartoline, una macchina fotografica, degli stickers, una penna) o semplicemente delle istruzioni qualora le attività si svolgano online.

Non ci sono limiti al materiale da inserire in un kit, che può comprendere qualsiasi cosa aiuti a raccogliere informazioni in maniera informale e creativa, nella scelta degli strumenti è fondamentale tenere conto delle tipologie di persone a cui è destinato il kit e lo scenario in cui questo si colloca.

Alla base della creazione di questi strumenti le domande guida rimangono:

  • cosa, quando dove, perché, chi e come
  • come stanno interagendo gli utenti?
  • quali sono le emozioni che guidano le scelte e le azioni?

Le cultural probes scatenano un’ottima reazione iniziale perché giocano su una risposta emozionale immediata legata alla sorpresa e alla creatività, ma hanno bisogno di essere gestite in seguito in maniera molto attenta. Il tempo di somministrazione può variare da qualche settimana fino a un massimo di un mese.

Cultural probes nell’ healthcare

Analizzare lo stato d’animo di un paziente allo start di una terapia, cercare di comprendere meglio come si informa, quali sono i pain points che riguardano la quotidianità, come lo spazio e gli elementi che lo circondano siano in grado di condizionare il suo rapporto con la malattia.

Se strumenti come le interviste o le osservazioni risultano estremamente efficaci nell’ambito del patient experience design, le cultural probes presentano un ulteriore elemento a favore: tutte le action che il paziente è chiamato a fare non prevedono alcuna mediazione del ricercatore, questo permette di raccogliere dati senza il rischio di influenze esterne. Compilare un diario, rispondere a stimoli digitali, fotografare oggetti, spazi o persone sono attività che possono essere svolte in maniera autonoma, il paziente sceglie il dove, il come e il perché.

Questi strumenti, basandosi su una interazione che ha bisogno di mantenersi costante per tutta la durata della ricerca, presentano una criticità: non sempre sortiscono i risultati qualitativi sperati. È possibile che il paziente abbandoni le interazioni con il kit, per questo è fondamentale stabilire il giusto slot temporale per la ricerca e creare il giusto mix di attività analogiche e digitali e una serie di appuntamenti di contatto per verificare che le attività si stiano svolgendo.

Il digitale facilita l’interazione dei partecipanti: una volta stabiliti i task delle cultural, queste possono essere facilitate da strumenti mobile. La macchina fotografica usa e getta può essere sostituita della fotocamera del telefono, il diario cartaceo da una nota nel telefono, una serie di immagini di carta possono tramutarsi in fotografie mandate in una chat.

Come monitorare i PSP – il ruolo delle survey

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Analizzare l’andamento di un servizio per monitorare il livello di soddisfazione dei suoi destinatari, e individuare indicatori quantitativi e qualitativi che permettano di avere una visione chiara del contesto di riferimento sono attività fondamentali nel settore healthcare. Per questa ragione le survey risultano essere un valido strumento per misurare prodotti e servizi.

Healthcare Survey dal design alla somministrazione

Ogni qualvolta si decida di utilizzare un questionario per indagare un determinato argomento, il primo step consiste nella definizione degli obiettivi: quali informazioni si vogliono raccogliere? Chi sono i soggetti da coinvolgere?

Dopo aver stabilito l’obiettivo, la survey viene progettata e definita sulla base del target al quale verrà sottoposta. In questa fase è necessario scegliere quale impostazione dare al questionario e alle domande da porre, in base alle informazioni che si vogliono sottoporre al campione: si possono infatti collezionare dati quantitativi, informazioni puntuali su un dato topic, dati qualitativi come indicazioni che forniscono dettagli e approfondimenti necessari per capire meglio l’opinione del rispondente.

Altro aspetto a cui prestare attenzione è il linguaggio; la sua scelta deve essere in accordo con il destinatario: un questionario somministrato a un Clinico non può utilizzare lo stesso tone of voice e registro di uno destinato a un paziente.

Una volta predisposta la survey è necessario che i contenuti vengano condivisi con il committente – la Pharma – ed eventualmente con altri stakeholders coinvolti nell’indagine: comitati scientifici, associazioni di pazienti o piccoli gruppi di Clinici.

Una volta completata questa fase si può dare il via alla somministrazione della survey che può avvenire utilizzando diversi canali: si può optare per un questionario online da inserire in una landing page o da inviare al campione di rispondenti attraverso una email o un SMS, si può utilizzare una somministrazione tramite Call Center o tramite questionario cartaceo.

Le survey al servizio dei PSP

Per quanto riguarda più specificatamente il mondo dei PSP, le survey possono essere destinate principalmente a due diversi soggetti: Clinici e pazienti. Con i primi l’obiettivo può essere quello di valutare l’andamento del PSP e l’impatto che fornisce alla normale routine assistenziale del Centro, con i secondi si può valutare quanto il Programma costituisca un valido alleato nella gestione della terapia e nel miglioramento della qualità di vita. Per entrambi i soggetti le survey costituiscono inoltre uno strumento per far emergere gli unmet needs e acquisire input per il design di componenti che possano andare a soddisfarli.

La survey può veicolata in diversi momenti del PSP: nella fase di adesione, in una fase intermedia ad intervalli di tempo prestabiliti, al termine del programma.

Risulta infine indispensabile, nell’ambito di una corretta progettazione delle survey, definire puntualmente gli aspetti correlati alla privacy: è infatti necessario garantire l’anonimato dei rispondenti, per evitare bias nella ricerca e tutelare i dati personali.

Il rispetto della privacy può comunque contemplare la raccolta di alcuni dati anagrafici in forma anonima che costituiscono informazioni importanti per identificare alcune caratteristiche aggregate della popolazione dei rispondenti.

Identificare l’obiettivo, individuare il target, utilizzare un linguaggio chiaro e coerente con lo scopo dell’indagine sono dunque passaggi chiave per la buona riuscita di un questionario.

Video teaser: come catturare l’attenzione in meno di un minuto

Video teaser

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In un mondo sempre più affollato da informazioni accessibili e multicanale è fondamentale trovare la corretta maniera di veicolare i propri contenuti. Come riuscirci, in particolar modo quando si parla di salute?

Stabilendo una gerarchia del contenuto per raggiungere un obiettivo: il coinvolgimento del pubblico.

Quando si lavora sull’engagement per contenuti healthcare le logiche sono le stesse di qualsiasi altro settore, con un punto di attenzione: l’informazione deve essere chiara e verificata.  Analizziamo quindi uno strumento che coniuga la potenza dell’immagine e la velocità del messaggio: il video teaser.

Video e video teaser

Negli ultimi anni il video marketing è diventato uno strumento fondamentale per comunicare con il proprio pubblico: il 92% di tutti gli utenti di Internet in Italia guarda contenuti video online (WeAreSocial, 2020); questo accade sia perché gli utenti prediligono

A confermare ancora di più quanto il formato video sia popolare è un altro dato: 3 ore e 40 minuti – questo è il tempo medio giornaliero speso dagli italiani per guardare video sul web, dato che ha avuto un’importante crescita con la pandemia e che, ad oggi, non sembra arrestarsi.

Analizzando più nello specifico YouTube, tra le piattaforme più utilizzate per visualizzare video online, sono 2,2 milioni gli utenti attivi in Italia, di questi il 25,3% fruisce i contenuti attraverso mobile, il 74,7% via computer. La distinzione per genere vede una prevalenza di uomini tra gli utilizzatori della piattaforma, con il 58,6% di utenti. Andando invece a fare una distinzione per fascia di età, il 19,3% degli utenti ha tra i 18 e i 24 anni, il 34,8% tra i 25 e i 34 anni, il 16,7% tra i 35 e i 44 anni, l’11,5% tra i 45 e i 54 anni, il 9,4% tra i 55 e i 64 anni e il restante 8,3% è over 65.

Data la sua evidente popolarità, ad oggi il formato video è tra i più adottati dalle aziende, in qualsiasi settore, in particolar modo quando il tempo disponibile per coinvolgere e ingaggiare il proprio target è di pochi secondi. A perseguire perfettamente questo obiettivo sono i video teaser, ovvero brevi filmati, densi di azione, che condensano in un tempo limitatissimo pochi messaggi che invogliano il pubblico a cercare maggiori informazioni – il cuore del messaggio.

Il teaser diventa quindi il primo tassello di un piano di comunicazione molto più ampio: trattandosi infatti di una sorta di preview, è fondamentale pianificare una campagna di comunicazione che passo dopo passo sia in grado di fornire tutte le informazioni necessarie a un determinato prodotto o servizio per essere conosciuto. Come? Strutturando una campagna social, una pagina web, delle brochures che raggiungano i destinatari sui vari canali in cui si trovano a fare le loro ricerche e soprattutto a conversare.

Video teaser e mondo healthcare

Cosa succede quando il contenuto della campagna di comunicazione tratta di salute? Bisogna innanzitutto tenere presente che il settore è regolato in maniera piuttosto stringente, ma i meccanismi alla base delle scelte di comunicazione sono gli stessi. Ci si ritrova quindi a strutturare campagne rivolte ai pazienti, ai Clinici, ai caregiver che sono prima di tutto persone, le stesse che scelgono una determinata serie tv, un paio di scarpe, che mettono in atto criteri di selezione nella scelta dei prodotti e dei servizi di consumo come in quelli della salute.

Ed ecco come il video teaser può essere un valido tool per annunciare l’apertura di uno strutturato progetto di awareness su una patologia rara, può spiegare in 40 secondi le caratteristiche principali di un webinar destinato alla formazione della classe medica, può fornire le informazioni sulla modalità di gestione di un device rimandando a una pagina di approfondimento in un sito che è stato creato ad hoc, può ricordare che tra qualche settimana inizierà un ciclo di incontri per lo sharing experiences tra una comunità di pazienti, può far sapere che una certa Regione sta mettendo in campo una serie di misure sanitarie per il contenimento della emergenza sanitaria rimandando ad una sezione di approfondimenti in cui raccogliere tutte le informazioni.

La forza di questi video sta nella loro capacità di essere fruiti tanto sui social network quanto negli schermi di una sala d’attesa quindi ovunque e conseguentemente da chiunque.

Una volta identificato il target, la strategia di marketing e il piano editoriale, la sfida è dunque riuscire a produrre un video teaser che sia in grado di suscitare l’interesse necessario per far sì che, chi lo guarda, sia portato ad andare avanti, cercare informazioni aggiuntive e prendere parte, attivamente, all’iniziativa. E se questo è vero in generale, lo è ancora di più nel mondo healthcare, dove è sempre più fondamentale coinvolgere pazienti, Clinici e caregiver affinché diventino partecipativi e consapevoli.

 

https://www.oberlo.it/blog/statistiche-video-marketing

https://www.87seconds.com/c/en/video-teaser/

 

 

Intervista a Silvia Stefanelli, avvocato specializzato in Health Service Legislation, e-Health e protezione dei dati

Privacy by design

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Approccio privacy by design e by default, secondary use dei dati e cultura della privacy nelle realtà aziendali: sono questi gli argomenti che approfondiremo grazie a Silvia Stefanelli, avvocato specializzato in Health Service Legislation, e-Health e protezione dei dati, che ha risposto alle nostre domande.

Perchè è utile tener conto di un approccio privacy by design e by default nella progettazione delle impostazioni a tutela dei dati personali previste per qualsiasi servizio sanitario?

 

L’articolo 25 del GDPR stabilisce che un processo che coinvolge il trattamento dei dati deve rispettare il principio della privacy by design e by default: ciò significa che nel momento in cui si decide di implementare un processo in cui si trattano dati si devono valutare sin da subito tutti gli aspetti privacy.

Questo principio che può apparire un po’ scontato, in realtà molto raramente viene applicato in maniera conforme al GDPR: solitamente, in ambito sanitario, il processo viene immaginato prima sotto il profilo clinico ed organizzativo e solo successivamente ci si pone il problema dei profili privacy.

Cioè solo in un secondo momento ci si interroga su quali siano i ruoli Privacy, quale sia la base giuridica del trattamento (aspetto fondamentale perché è ciò che rende il trattamento lecito), quali strumenti verranno utilizzati ed in generale sugli aspetti di rispetto del GDPR.

È chiaro che quando l’analisi dei profili privacy arriva a processo già disegnato si cercherà, inevitabilmente, di piegarla al progetto già in corso.

Proprio per evitare questo effetto, è fondamentale nel momento stesso in cui si pensa all’organizzazione del servizio e agli aspetti clinici, cominciare a interrogarsi anche sui profili privacy.

Questo non è l’unico aspetto, infatti, la conformità “by design e by default” al GDPR sta diventando un fattore competitivo sempre più interessante per le aziende che la attuano, poiché esse sono avvantaggiate a livello concorrenziale rispetto a chi non ottempera alla normativa.

Da un lato – sulla base di un accordo tra Consip e il Garante Privacy- i bandi pubblici per l’acquisto dei software medicali da parte delle strutture sanitarie dovranno prevedere specifici requisiti di compliance privacy “fin dalla progettazione e per impostazione predefinita”.

Specularmente, nel settore privato gli accordi per la fornitura di software – ma anche in generale le partnership e le operazioni societarie – includono già da tempo due diligence sempre più approfondite sulla data protection by design dei prodotti così come sull’intero sistema privacy delle organizzazioni.

Quanto è importante formare il personale in materia di trattamento dei dati sensibili e favorire la diffusione di una “cultura della privacy” all’interno delle realtà aziendali?

Io ritengo che la formazione del personale sia cardine per far funzionare quel sistema di gestione del dato che, nei fatti, è richiesto dal GDPR.

Anche il miglior sistema di gestione di un dato, dove non sia accompagnato dalla sensibilità e dalla consapevolezza del personale, rischia di non raggiungere gli effetti desiderati. Per questo credo che l’investimento delle aziende sulla formazione del personale con l’obiettivo di sensibilizzarlo rispetto al tema dei dati sia fondamentale.

È quindi imprescindibile che la formazione abbia un “taglio operativo”: non deve limitarsi a trasmettere i principi fondamentali del GDPR, ma deve spiegare – nella pratica e con un approccio “personalizzato” a seconda dell’organizzazione e dell’attività aziendale – cosa deve fare il personale e soprattutto cosa deve evitare per scongiurare il rischio che l’azienda sia oggetto di possibili sanzioni.

È possibile utilizzare i dati sensibili per finalità diverse e non previste dalla prestazione per cui sono stati inizialmente raccolti? Se si, in che modo?

Il cosiddetto secondary use – vale a dire il trattamento di un dato per una finalità diversa da quella originale per cui quel dato è stato raccolto – rimane uno dei temi più interessanti dell’intero regolamento soprattutto per le implicazioni che ha nell’ottica di riutilizzare le informazioni per alimentare la conoscenza, il progresso e, di conseguenza, potenziare lo sviluppo economico.

In quest’ottica certamente l’art. 5 prevede questa possibilità indicando espressamente alcuni settori, tra cui la ricerca scientifica, nei quali il dato può essere utilizzato per uno scopo differente da quello originario.

In ogni caso il secondary use per fini di ricerca scientifica sarà legittimo purché, in particolare:

  • vengano considerate le ragionevoli aspettative dell’interessato in base alla sua relazione con il Titolare con riguardo al loro ulteriore utilizzo,
  • vengano valutate le conseguenze per l’interessato dell’ulteriore trattamento,
  • esistano garanzie adeguate (come ad esempio la pseudonimizzazione dei dati personali),

e solo dopo aver valutato di non poter conseguire tali finalità trattando dati de-identificati o anonimi.

La questione si complica qualora il trattamento ulteriore per finalità di ricerca scientifica venga effettuato da un soggetto terzo.

In questo caso, infatti, l’apertura del GDPR si scontra con l’articolo 110 bis del nostro codice privacy, il quale richiede, per il secondary use da parte un terzo, l’autorizzazione del Garante quando fornire l’informativa privacy è impossibile o implica uno sforzo sproporzionato, oppure rischia di impedire o pregiudicare la ricerca, e sempre che siano adottate misure di garanzia, comprese forme preventive di minimizzazione e di anonimizzazione dei dati.

 

Dati: un’opportunità per il mondo healthcare

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I dati hanno modificato in modo sostanziale il modo in cui le imprese gestiscono, analizzano e utilizzano le informazioni. Il settore sanitario può trarne importanti benefici: garantendo migliori outcome ai pazienti, riducendo i costi legati alle prestazioni sanitarie e, più in generale, migliorando la qualità della vita delle persone.

Sebbene la lista dei benefici sia lunga, è necessario tenere conto di un aspetto fondamentale: la privacy.

Il ciclo di vita del dato

Il dato ha un proprio ciclo di vita e determinarlo è una delle prime attività da compiere in fase di progettazione.

Dal punto di vista progettuale, si possono individuare quattro fasi: prima fra tutte la data collection phase, ovvero il momento in cui i dati vengono raccolti da differenti fonti, in diversi formati; a seguire il dato viene immagazzinato (data storage phase) e preparato per essere utilizzato nelle fasi successive, in cui vengono svolte analisi per generare informazioni utilizzabili (data analytics phase) dai decision maker, che possono dunque studiare piani di azione adeguati (knowledge creation phase). In questo contesto, uno strumento fondamentale nel processo di decision making risultano essere le dashboard proprio perché forniscono ai diversi stakeholders i dati in un formato intuitivo, migliorando in questo modo la comunicazione e la collaborazione tra i diversi attori.

Ognuna delle fasi analizzate deve sottostare a specifici standard di qualità e sicurezza, per garantire che i dati raccolti provengano da fonti certe, siano controllati secondo i livelli qualitativi previsti e siano protetti da usi non consentiti o veri e propri atti criminali.

Dati nell’healthcare: le fonti

Determinato il ciclo di vita del dato, quali sono le fonti da cui reperire le informazioni, in sanità?

Il mondo dell’healthcare, seguendo la scia degli altri settori, è diventato sempre più digitale, entrando quindi nel meccanismo secondo cui qualsiasi attività svolta dall’utente online lascia una traccia: il dato.. Qualche esempio: il numero di appuntamenti registrati nei servizi di prenotazione pubblici e privati evidenzia quanto i pazienti abbiano bisogno di determinate prestazioni e come sia cambiato il mix tra quelle erogate in presenza e quelle in modalità remota, le applicazioni per smartphone registrano l’attività fisica e sportiva del singolo individuo o i battiti cardiaci e la memorizzano nei relativi servizi cloud; e ancora, il monitoraggio da remoto, collegato alla telemedicina, permette di collezionare dati e analizzarli insieme al proprio medico, senza necessariamente recarsi presso il centro clinico.

L’altra faccia della medaglia: anonimizzazione e pseudoanimizzazione del dato

Sono ormai evidenti i benefici che si possono trarre da una vasta quantità di dati, tuttavia è necessario garantire alcuni standard di sicurezza per tutelare la privacy degli utenti.

L’attuale normativa europea e le opinioni dei gruppi di lavoro definiscono se e quando un data set può considerarsi anonimo e quali sono vari i fattori da tenere in considerazione, tra cui la metodologia di anonimizzazione e il contesto in cui questa viene fatta.

Nel gergo anglofono si parla spesso genericamente di de-identification, intendendo sostanzialmente tutto lo spettro dei metodi disponibili: la pseudonimizzazione e l’anonimizzazione ma nel contesto europeo le differenze sono rilevanti. Con pseudonimizzazione si intende il trattamento dei dati personali in modo tale che non sia più possibile ricondurre tali dati a un interessato specifico, senza l’utilizzo di informazioni aggiuntive (a condizione che tali informazioni aggiuntive siano conservate separatamente e soggette a misure tecniche e organizzative intese a garantire che tali dati personali non siano attribuiti a una persona fisica identificata o identificabile). L’anonimizzazione è invece un processo mediante il quale i dati personali vengono modificati in modo irreversibile così che il titolare del trattamento non possa più identificare direttamente o indirettamente l’interessato.

Per garantire una corretta e sicura gestione del dato, il GDPR richiede a chi gestisce e tratta le informazioni di implementare misure tecniche e organizzative volte a ridurre il più possibile i rischi. Tra queste la anonimizzazione è sicuramente, quando possibile, la modalità di azione più robusta in quanto i dati risultanti non sono più da considerarsi dati personali e quindi soggetti alla protezione del GDPR. Dall’altra parte la pseudonimizzazione è prevalentemente una misura di mitigazione del rischio di trattamento e minimizzazione dei dati trattati.

Come discusso, le opportunità che i dati offrono al mondo dell’healthcare sono pressoché infinite:  nella ricerca, possono essere utilizzati per promuovere la sanità pubblica, accrescere conoscenze scientifiche, sviluppare farmaci o device o, in fase successiva, monitorare la sicurezza di un farmaco o device, dopo l’immissione in commercio. O ancora possono essere utilizzati per migliorare l’efficacia dell’informazione medico scientifica o dei contenuti studiati per consumatori e pazienti.

Gli esempi sono tanti, così come gli ostacoli che a volte rallentano il processo di raccolta e analisi dei dati, a causa di problemi tecnici di interoperabilità o legati alle necessarie tutele e adempimenti privacy. Tuttavia la cooperazione di attori con forti competenze di privacy, data management, compliance e tecnologia può permettere il superamento di tali criticità, dando al settore healthcare la possibilità di studiare strategie di successo a partire dal real world.

 

Digital Healthcare e supporto umano: l’integrazione come valore aggiunto dei PSP

Supporto umano

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Piattaforme che facilitano il monitoraggio della sintomatologia dei pazienti, applicazioni che agevolano il contatto con il medico, dashboard aggiornate in tempo reale per permettere agli Specialisti di valutare l’andamento della terapia, device che aiutano a mantenere una buona aderenza- come nel caso di SimpleMed+ di Vaica .

Sono tante le opportunità offerte dai nuovi strumenti di digital health che ampliano il perimetro delle soluzioni destinate al controllo e al supporto continuativo dei pazienti affetti da patologie croniche.

Il valore aggiunto fornito dal digitale ai programmi di supporto al paziente è stato fondamentale per l’incremento di tali tecnologie, soprattutto nell’ultimo anno. Durante l’emergenza COVID-19 , il mondo healthcare si è affidato in modo particolare agli strumenti digitali per garantire la continuità operativa dei PSP nel rispetto della sicurezza di medici e pazienti.

In che modo le applicazioni, le piattaforme e gli assistenti vocali entrano a far parte della quotidianità dei pazienti? Come possono essere inserite in modo efficiente nei programmi di supporto per creare un valore aggiunto per tutti gli stakeholder dell’healthcare?

Gli strumenti per la creazione di PSP integrati

In un periodo legato ad un’emergenza sanitaria le soluzioni digitali possono quindi costituire l’unica opzione di supporto? Assolutamente no: il digital divide continua ad essere presente e sale il tasso di invecchiamento della popolazione.  Pertanto un provider di programmi di supporto deve saper cogliere il valore delle innovazioni e le potenzialità che esse possono offrire ai diversi attori dell’healthcare integrandole con componenti che possano risponde alle necessità reali dei pazienti.

Ad esempio, offrire al paziente una soluzione digitale in cui vengono monitorati i parametri vitali o i valori a cui prestare attenzione, offrendo al contempo un call center con personale opportunamente formato pronto a rispondere ai propri dubbi di natura tecnica quanto sanitaria può rappresentare un ottimo compromesso per raggiungere l’integrazione tra supporto umano e digitale.

Per questo motivo è fondamentale seguire un approccio patient experience designed, basato sull’ascolto delle necessità del paziente per disegnare soluzioni che rispondano agli unmet needs individuati e ai pain points dichiarati. Solo attraverso questa attività si può comprendere quanto una offerta digitale possa avere reale valore per gli utilizzatori e quanto sia necessario integrarla con componenti non digitali.

Una volta disegnato e avviato il PSP, il passo successivo prevede la raccolta di dati di real world evidence, i quali permettono di monitorare l’efficacia che il programma ha per tutti i suoi destinatari; uno strumento di verifica di questo tipo di dati viene può essere costituito dalle survey che permettono di raccogliere misurare l’esperienza del paziente in momenti critici prestabiliti. In questa maniera è possibile valutare l’andamento di KPI di programma stabiliti per determinarne la sua efficacia.  Attraverso le survey si può indagare come il PSP abbia migliorato la condizione del paziente in termini di aderenza e più in generale di qualità di vita. Come? Raccogliendo il suo stato pre- PSP e comparandolo a 6, 12 mesi fino allo stop delle attività di supporto, qualora sia previsto.

La sfida per il provider consiste nel dimostrarsi flessibili nell’apportare modifiche in accordo ai dati di real world che emergono dall’analisi dell’esperienza.

 

 

 

 

 

Health literacy: dal benessere della persona a quello della comunità

Health literacy

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L’emergenza sanitaria ha portato in evidenza il tema della alfabetizzazione sanitaria (health literacy), ma cosa significa veramente e quali sono gli effetti di questo fenomeno?

Health literacy, la consapevolezza nell’healthcare

Per health literacy, o alfabetizzazione sanitaria, si intende la capacità di comprensione e  utilizzo delle informazioni sanitarie oltre all’accesso ai servizi di salute effettuando scelte consapevoli.

La health literacy pertanto non fa riferimento alla sola capacità di comprendere i termini che riguardano la salute e che da sempre affollano opuscoli e foglietti informativi, ma soprattutto ad una strategia di empowerment che può indirizzare i cittadini all’accesso cosciente alle informazioni e ai servizi per poterne fruire nella maniera più efficace.

Il concetto parte da un assunto: il paziente riveste un ruolo attivo nella gestione della propria salute.

Infodemia: la sfida per una corretta alfabetizzazione sanitaria

Lo scenario della pandemia da Covid-19 che stiamo attraversando ha confermato che l’health literacy deve necessariamente diventare un investimento pubblico importante e strategico a livello individuale quanto collettivo.
La pandemia ci ha messi di fronte alla necessità di comprendere e rispondere in maniera appropriata e rapida alle indicazioni governative in materia di salute in un contesto caratterizzato dall’esposizione a una quantità eccessiva di informazioni in rapido aggiornamento e spesso in contraddizione tra loro.
L’eccesso di informazioni è stato definito dall’OMS “infodemia”: troppe notizie rendono difficile individuare fonti attendibili e indicazioni affidabili in momenti critici.

Come si può evitare di cadere nell’infodemia? Lavorando su linguaggi semplici e chiari, inclusivi e destinati a tutte le fasce della popolazione; un esempio molto interessante è Covid-19 Health Literacy Project che traduce in più di 40 lingue informazioni utili riguardanti la malattia per aiutare gli utenti a comprendere quando e come cercare e trovare assistenza.

Una finestra sull’Europa

Nel 2018 è stato sviluppato il primo network europeo per la misurazione dei livelli di health literacy: l’Action Network on Measuring Population and Organizzational Health Literacy (M-Pohl) che, attraverso indagini conoscitive e comparative, ha l’obiettivo di analizzare la qualità dell’alfabetizzazione sanitaria nella popolazione adulta dei diversi paesi dell’UE.

Nel 2017, uno studio condotto su diversi paesi dell’UE (inchiesta auto-valutativa) fornisce dei dati deludenti per l’Italia, collocata piuttosto in basso nella classifica dei paesi europei con i più alti livelli di health literacy: circa il 55% della popolazione italiana si attesta a dei livelli di alfabetizzazione sanitaria inadeguati.

Lo stesso studio indica che in nord Europa, in particolare in Olanda, si rilevano i migliori livelli di alfabetizzazione sanitaria, mentre in Spagna e Bulgaria si supera il 60% di analfabeti sanitari, poco più su in classifica Grecia e Polonia si attestano intorno al 44%.

L’esempio dei Paesi Bassi ci fa notare che unire i tentativi di empowerment sia degli individui che della comunità a una buona comunicazione nel settore sanitario porta a degli ottimi risultati in termini di crescita e miglioramento dell’health literacy e conseguentemente di gestione della salute.

Lavorare sulla health literacy significa dare vita a soluzioni concrete: messaggi di testo sul cellulare con i promemoria sull’assunzione del farmaco o sulle analisi da condurre, siti web interattivi per navigare la journey di malattia, glossari di malattia generati su canali social, stories instagram con sondaggi per valutare il grado di conoscenza di determinate tematiche, interazioni voice based basate sul machine learning – sono solo alcuni degli esempi che lavorano in queta direzione.

Sono ancora molti gli step per generare una health literacy diffusa in maniera capillare, ma i passi da gigante compiuti dal digitale e la sempre maggiore attenzione al patient experience design promettono il raggiungimento di risultati significativi.

 

 

Approccio Data Driven: le dashboard per comprendere i dati healthcare

Dashboard

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Un approccio data-driven è fondamentale per la definizione della migliore proposta di valore per i diversi stakeholder del settore sanitario. L’analisi dei dati ottenuti durante tutto il patient journey è diventata parte integrante dell’attività quotidiana della maggior parte dei professionisti healthcare. Una volta raccolte le informazioni dalle numerose fonti e dai database disponibili, per riuscire a decifrarle al meglio, in un’ottica sia di monitoraggio che di implementazione di nuove soluzioni, è imprescindibile averne una codifica visiva essenziale e facilmente comprensibile.

Le dashboard, quali rappresentazioni visive di dati create algoritmicamente, mostrano, con un’estetica essenziale e di immediata comprensione, una numerosa mole di informazioni. Aggiornabili in modo facile e veloce, le dashboard generano dei report dettagliati che consentono di monitorare KPI e trend identificando correlazioni e outliers. Inoltre, permettono di delineare delle strategie data-based con una visione d’insieme, istantanea e integrata, dei diversi sistemi.

Esistono differenti tipologie di dashboard che possono essere classificate sulla base di due variabili: da un lato il numero di interazioni necessarie da parte dell’utente per provare varie combinazioni, (capire il fenomeno e formulare nuove ipotesi), dall’altro la determinabilità a priori che la dashboard offre e che definisce con quale precisione e puntualità un utente può dedurre i risultati, i processi e le informazioni necessarie per la sua attività.

Sulla base di questi fattori, le dashboard si possono dividere tra quelle che offrono principalmente un supporto decisionale, quelle che permettono un’esplorazione dei dataset, quelle che consentono un monitoraggio dei trend e le operational che consentono di verificare lo status dei diversi KPI.

Finalità e impatto nei sistemi healthcare

Nell’ultimo anno la richiesta di dashboard in ambito sanitario è cresciuta in modo esponenziale.

Da strumento prevalentemente usato dagli specialisti del settore, è stato ampiamente fruito anche dalla popolazione stessa soprattutto per seguire l’andamento della pandemia da covid-19. Questi mesi hanno mostrato le ampie potenzialità delle dashboard nella puntuale e veloce codifica visiva di dati raccolti worldwide facilitando una comprensione globale di un fenomeno estremamente variabile quale quello di una pandemia.

In ambito sanitario, infatti, le dashboard rappresentano uno strumento fondamentale nel processo di decision making perché forniscono ai diversi healthcare provider i dati in un formato intuitivo che consente di tenere traccia del valore creato sia per i pazienti che per gli Specialisti del settore.  Migliorano la collaborazione e la comunicazione tra i diversi attori, consentendo una più puntuale rendicontazione e una maggiore trasparenza.

In questo modo contribuiscono anche al perfezionamento della qualità dei servizi, all’incremento della soddisfazione dei pazienti e degli Health Outcome, nonché a una riduzione complessiva dei costi dettata in modo particolare dall’incremento dell’efficienza delle soluzioni proposte.

Inoltre, esistono prove a sostegno dell’ipotesi che l’implementazione di dashboard cliniche, le quali forniscono accesso immediato alle informazioni ai diversi professionisti del settore, può migliorare l’aderenza alle quality guidelines. Tuttavia, è necessario condurre ulteriori studi per verificare la loro efficacia e stabilire specifiche linee guida per la loro progettazione.

Aderenza terapeutica ed engagement: il contributo delle dashboard

Il Settore Sanitario negli anni ha incrementato notevolmente l’utilizzo delle dashboard. Tra queste ce ne sono alcune che presentano l’andamento dell’obesità, della mortalità legata alle diverse patologie, dell’aspettativa di vita e della fiducia riposta dalle persone negli Specialisti del proprio Paese.

Un aspetto interessante da considerare è che alcune sono disponibili anche su dispositivo mobile. Su molti smartphone, infatti, all’acquisto è già installata un’applicazione in cui sono integrati e analizzati tutti i dati registrati dal telefono e dai wearable ad esso collegati. Questo tipo di applicazioni mettono insieme le informazioni sull’attività fisica, il battito cardiaco, i cicli del sonno e dello stress della persona.

Ciò dimostra le potenzialità che simili strumenti hanno per integrare, visualizzare e analizzare dati provenienti da fonti diverse. Tali funzionalità possono essere applicate anche al mondo healthcare con particolare attenzione al monitoraggio dell’aderenza terapeutica e all’incremento dell’engagement e dell’awareness del paziente. È il caso di iCARE Platform®, una piattaforma interattiva che si interfaccia con diversi device e tools grazie all’IoT al fine di proporre un percorso personalizzato per singolo utente per la prevenzione , il benessere e il supporto alla terapia.

 

Pertanto, per definire proposte di valore personalizzate e aggiornate rispetto ai needs dei diversi stakeholder, è fondamentale investire sulle competenze e professionalità necessarie per strutturare e implementare dashboard interattive, visivamente rappresentative delle informazioni raccolte e funzionali alla gestione delle numerose fonti di dati disponibili.

Storie di respiri: lo storytelling per i pazienti affetti da ipertensione polmonare

Ipertensione polmonare

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“La malattia è una battaglia, ma avere accanto persone di cui ti fidi e un supporto che è pronto ad aiutarti quando ti trovi in difficoltà è importante”. Così Simone racconta l’importanza che la sua famiglia e il supporto tecnico di Breelib hanno avuto durante tutto il percorso di cura per l’ipertensione polmonare.

Questa storia, insieme a quella di altre cinque persone provenienti da tutta Italia, ha dato vita al progetto di storytelling Storie di Respiri che ha l’obiettivo di raccontare l’ipertensione polmonare attraverso le parole di chi tutti i giorni lotta per affrontarla, i pazienti.

Una malattia rara e di difficile diagnosi perché caratterizzata da sintomi aspecifici come affanno e stanchezza, ma che se correttamente trattata può permettere di non dover rinunciare a tutto.

Anna, Olindo, Eugenia, Clotilde, Paolo e Simone sono i protagonisti dell’opuscolo che di abbiamo realizzato grazie al contributo di Bayer e con la sponsorizzazione dell’Associazione Pazienti AMIP (Associazione Malati Ipertensione Polmonare).
L’obiettivo è quello di condividere un vissuto che accomuna tutti i pazienti affetti da ipertensione polmonare e accrescere la conoscenza sulla malattia.

Abbiamo posto una domanda al Professor Vizza del Dipartimento di Scienze Cliniche Internistiche Anestesiologiche e Cardiovascolari de La Sapienza di Roma, figura di riferimento nell’ambito della Ipertensione polmonare:

Quanto è importante per il paziente affetto da ipertensione polmonare poter contare su un supporto tecnico durante il suo percorso di terapia?

L’ipertensione arteriosa polmonare è una malattia che richiede trattamenti complessi; con questo intendo la somministrazione di farmaci per via inalatoria, sottocutanea o infusionale. In questi casi avere il supporto di personale specializzato nella gestione dei device per l’erogazione dei farmaci è fondamentale, sia nella fase di addestramento dei familiari e dei pazienti, sia in caso di malfunzionamento. Un altro aspetto importante è la possibilità di avere la distribuzione domiciliare del farmaco e del materiale di consumo.

 

Laura Gagliardini, Presidente dell’Associazione AMIP (Associazione Malati Ipertensione Polmonare) ci ha spiegato l’importanza rivestita dallo storytelling:

Che ruolo ha la condivisione delle storie di malattia nel supporto ai pazienti?

Condividere le proprie storie si è rilevato fondamentale (noi abbiamo pubblicato un libro ad uso dei soci sulla resilienza), in quanto il malato non si sente solo e può prendere spunti per rielaborare “la sua nuova vita”.

 

Ci auguriamo quindi che storie di respiri possa essere uno spunto per tutti coloro che avranno la possibilità di leggere queste storie di persone che tutti i giorni affrontano le proprie paure, le complicazioni, con coraggio.